CASO MACCHI
Nella casa di Lidia il colonnello del Ris
L’avvocato Pizzi: «Tampone salivare alla mamma» Anche l’università di Firenze partecipa agli accertamenti sui resti. La vittima oggi avrebbe compiuto 51 anni
La caccia al Dna dell’assassino di Lidia ha portato il Ris di Parma a casa Macchi. A suonare al campanello dell’abitazione che fu della giovane uccisa trent’anni fa e che ora è abitata dalla mamma Paola, è stato il comandante del Reparto investigazioni scientifiche dell’Arma, Giampietro Lago. Il colonnello - che si è occupato anche delle indagini su Massimo Bossetti in carcere per la morte di Yara Gambirasio - ha suonato al cancello della villetta di Casbeno per effettuare un tampone salivare alla mamma di Lidia. La ragazza di Casbeno uccisa il 5 gennaio dell’87, a vent’anni, che martedì 28 ne avrebbe compiuti 51.
La ricerca di “segni” biologici dell’assassino, passa anche attraverso la necessità di tracciare il profilo genetico della famiglia Macchi. Una delle ragioni dell’accertamento, è intuibile con facilità, è quella di comparare «l’appartenenza genetica» dei reperti trovati nella tomba e di quelli custoditi e miracolosamente salvatisi dalla distruzione (disposta dal gip Ottavio d’Agostino) tra cui quei “vetrini” dall’analisi dei quali, oggi, sarebbe stato possibile “leggere” la firma dell’assasino.
Ci sono però peli, capelli e unghie, che possono raccontare molto, se Lidia ha cercato di graffiare il suo assassino. E soprattutto c’è quel piccolo frammento di tessuto (una parte dell’imene di Lidia) che è stato conservato in un blocchetto di paraffina da Mario Tavani, il medico legale che eseguì un lungo e accurato sopralluogo al sass Pinì, luogo di ritrovamento del corpo di Lidia, e che eseguì l’autopsia. Quel reperto fu inviato alla Medicina legale di Pavia e si è salvato dalla distruzione.
«La famiglia di Lidia confida nei risultati degli accertamenti che sono stati e verranno eseguiti» - dice l’avvocato della famiglia Macchi, Daniele Pizzi. «Siamo grati alla dottoressa Anna Giorgetti per i ldispiegamento di forze alla ricerca di elementi che possano essere utili per arrivare alla verità». La domanda è la seguente: «C’è un Dna sotto le unghie di Lidia? È rimasto anche solo uno spermatozoo “intrappolato” nel reperto? Dalla lettura del referto autoptico, emerge che all’epoca il professor Tavani aveva individuato numerosi spermatozoi, solo che all’epoca la scienza non era ancora in grado di analizzarli come oggi. Le ricerche scientifiche e le indagini sui resti di Lidia (il feretro è stato riesumato lo scorso 22 marzo), coinvolgono l’anatomopatologa Cristina Cattaneo del Labanof (il laboratorio di antropologia e anatomopatologia forense dell‘università di Milano) un pool di periti e il Ris di Parma,oltre all’università di Firenze.
Proseguono dunquer analisi e ricerche ma si accorciano anche i giorni che separano Stefano Binda - difeso dagli avvocati Sergio Martelli e Patrizia Esposito - in carcere dal 15 gennaio 2016 con l’accusa di aver ucciso Lidia, dal processo in Corte di Assise a Varese.
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