Petrolio
Petrolio piomba a nuovi minimi 12 anni, appena sopra 30 dollari
Da Fmi a banche fioccano stime al ribasso, Opec parla di riunione
Roma, 12 gen. (askanews) - I prezzi del petrolio continuano a cadere, con il barile finito a ridosso della soglia psicologica dei 30 dollari, basso come non si vedeva da 12 anni a questa parte. All'Opec si comincia parlare di un possibile vertice di emergenza, da tenere a inizio marzo. Sui mercati dilagano le previsioni pessimistiche, ultima in ordine di tempo quella della direttrice del Fmi, Christine Lagarde secondo cui i fondamentali di domanda e offerta "suggeriscono che i prezzi resteranno bassi per un periodo prolungato".
Société Générale, Barclays, Bank of America, Macquarie e Standard Chartered hanno tutte rivisto al ribasso le rispettive stime, mentre Morgan Stanley si è unita a Goldman Sachs e altri nell'ipotizzare lo spauracchio di un barile a 20 dollari.
Specularmente, il moltiplicarsi di queste previsioni si accompagna ad un aumento delle scommesse ribassiste sull'oro nero, che sulle Borse merci di New York e Londra hanno raggiunto livelli da record. Qualche voce controcorrente c'è, come un ministro degli Emirati Arabi Uniti, che spera in una risalita a fine anno, ma sono decisamente minoritarie.
Sul mercato a spadroneggiare sono gli "orsi", quelli che puntano al ribasso. Nel corso della seduta il West Texas Intermediate è sceso fino a 30,06 dollari, sui minimi dal dicembre del 2013, in serata si attesta a 30,27 al barile, in calo di 1,27 dollari rispetto alla chiusura di ieri. Il barile di Brent, il greggio di riferimento del mare del Nord è sceso fino a 30,40 dollari, minimo dall'aprile 2004, e a mattina inoltrata Europa si attesta a quota 31,58, in calo di 47 cents dal fixing precedente.
Fino ad oggi l'Opec è apparsa chiaramente divisa e incapace di intervenire con tagli all'offerta. Anzi, il Paese capofila del cartello, l'Arabia Saudita, primo produttore mondiale di petrolio, è generalmente ritenuto proprio l'artefice dello squilibrio attualmente presente sul mercato. In pratica Riad avrebbe innondato il mercato già poco assetato per stroncare sul nascere la nuova produzione nord americana, basata su tecniche estrattive molto più costose, come quelle delle sabbie bituminose e della frammentazione idrolitica, e al tempo stesso per rovinare il reingresso sul mercato del rivale storico, l'Iran, con il quale in parallelo di recente si sono accumulate sempre più forti tensioni geopolitiche.
Ora però è la stessa Arabia Saudita a pagarne il prezzo: come tutti i grandi esportatori il bilancio del Reame accusa un crollo di gettito. Tanto che sta studiando la possibilità di quotare in Borsa il suo gioiello più prezioso, la compagnia petrolifera Aramco.
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