Petrolio ripiomba sotto i 30 dollari e sale l'allarme "contango"
Pesa anche la prospettiva dell'arrivo dell'export iraniano
Roma, 15 gen. (askanews) - La prospettiva dei 3 milioni di barili al giorni promessi da Teheran fa sempre più sentire il suo peso sui mercati, con il petrolio che torna a calare a nuovi minimi ultradecennali, finendo nuovamente sotto quota 30 dollari. Il barile di Brent, il greggio di riferimento del mare del Nord, cede 1,44 dollari portandosi a quota 29,44 dollari. A New York il West Texas Intermediate cala 1,61 dollari a 29,59 dollari. Valori che rappresentano i minimi rispettivamente da inizio 2004 e fine 2003.
Da molti mesi l'oro nero risente del contesto si eccesso di offerta che, tra quello che gli economisti considerano la fine di un "superciclo" delle materie prime, e il collegato rallentamento di molte economie emergenti, ha visto le quotazioni perdere oltre il 70 per cento rispetto ai picchi di metà 2014.
A questo ora si aggiunge la stagionale ripresa delle scorte, che negli Stati uniti tendono ad aumentare nei primi quattro mesi dell'anno. Tuttavia stavolta avviene in un quadro in cui si è già alla quasi saturazione delle riserve. In pratica si rischia una situazione in cui non si sa dove stoccare il petrolio, problema che si evidenzia nell'accentuamento del "contango". Si tratta di quel fenomeno in base al quale una stessa merce, con un contratto future, costa maggiormente più avanti con il passare dei mesi, laddove solitamente dovrebbe accadere il contrario. Il Wti che in prima scadenza costa 29,47 dollari in consegna a gennaio 2017 richiede più di 37 dollari. E questo in buona misura a riflesso dei crescenti costi di stoccaggio.
In un quadro simile, l'avvicinarsi del reingresso dell'Iran sul mercato, con il venir meno effettivo delle sanzioni che per anni hanno messo al bando il suo greggio, appare come la proverbiale pioggia sul bagnato. A breve l'Agenzia internazionale per l'energia atomica dovrebbe certificare il rispetto degli impegni presi da Teheran, che così, secondo alcuni analisti, potrebbe riuscire ad anticipare di circa due mesi la ripresa delle esportazioni.
L'Iran sostiene di essere in grado di ripartire con mezzo milione di barile e di risalire in pochi mesi ad un export simile a quello che operava prima degli embargo, circa 3,4 milioni di barili. Nel frattempo il cartello degli esportatori, l'Opec è apparso diviso e totalmente incapace di reagire alla caduta dei prezzi con strette ai rubinetti.
Anzi, è abbastanza diffusa l'opinione che sia stato proprio il Paese capofila dell'Opec, l'Arabia Saudita, primo produttore mondiale, a causare lo scivolone dei prezzi - almeno negli ultimi mesi - sia per mettere sotto pressione la nuova produzione Usa (sabbie bituminose e frammentazione idrolitica) sia e forse soprattutto per mettere i bastoni tra le ruote al grande stato rivale sciita, l'Iran appunto.
Ancora una volta poi, l'onda lunga degli scivoloni dell'oro nero si è accompagna da andamenti speculari sui mercati azionari, con crolli a catena dall'Asia, all'Europa, agli Usa mentre su molti listini i gruppi petroliferi hanno un peso rilevante. nel pomeriggio a Milano il Ftse-Mib cede il 3,07 per cento.
Tornando al petrolio, accanto alla ormai diffusa previsione di un possibile ulteriore storno delle quotazioni a 20 dollari, circolano anche calcoli su quanto siano ancora più bassi i prezzi "reali", cioè se depurati dall'inflazione degli anni passati. Secondo Bloomberg se si prendesse a riferimento il 1998, quando il barile era scrollato ai minimi dal 1980, il livello attuale risulterebbe di appena 17 dollari.
© Riproduzione Riservata