INCONTRO
Piumini: ho tradotto Springsteen, forte e fragile
L’infanzia a Freehold, nel New Jersey. Il momento soprannominato «Big bang», ovvero il debutto di Elvis Presley all’«Ed Sullivan Show». Il desiderio di diventare musicista e gli esordi come re delle bar band ad Asbury Park. La nascita della E Street Band, il successo. Ma anche i tormenti interiori che hanno dato linfa alle sue canzoni. «Born tu run», l’autobiografia di Bruce Springsteen uscita pochi mesi fa per Mondadori, racconta tutto questo.
Il Boss ci ha lavorato sette anni spinto da un sincero desidero di raccontarsi. Ne è sortito un testo intenso e dettagliato, illuminante per certi versi, che regala più di uno spunto di riflessione e sempre una sfaccettatura diversa. Proprio come le canzoni di Springsteen a ogni ascolto. Distribuita in più Paesi, in Italia abbiamo potuto leggerla grazie alla traduzione del varesino Michele Piumini, traduttore e docente, figlio dell’autore e scrittore - soprattutto di libri per ragazzi - Roberto Piumini. Una presentazione del libro è in programma il 27 luglio a Lissone, alle 21.30 alla biblioteca di piazza IV Novembre.
Michele Piumini, come si svolgerà la serata a Lissone?
«Alla biblioteca di Lissone io e Saul Beretta di Musicamorfosi, l’associazione che organizza la rassegna Suoni mobili, faremo una chiacchierata sull’autobiografia. È previsto anche un mini live di John Fonseca Fatum, cantautore di Chicago».
Come sta andando il tour di presentazione del libro?
«Sta andando bene, ho ricevuto richieste da soggetti di vario tipo, dalle librerie alle associazioni culturali: ogni volta è un’esperienza entusiasmante».
C’è un incontro che le è piaciuto particolarmente?
«Mi piace ricordare due eventi. Il primo alla Libreria Volante di Lecco, dove insieme a Born to Run abbiamo presentato I jeans di Bruce Springsteen e altri sogni americani, l’esordio come autrice di Silvia Pareschi, mia collega traduttrice letteraria. Si tratta di una raccolta di racconti ambientati in America, dove Silvia (che è di Laveno Mombello, ndr) vive per metà dell’anno: una lettura che consiglio di cuore. Il secondo con il patrocinio dell’associazione Davide Lajolo a Nizza Monferrato, dove abbiamo allestito un reading con l’oncologo musicologo Franco Testore, l’attore Paolo Melano e me».
Che tipo di riscontri ha avuto. Per caso sono arrivati commenti dagli Stati Uniti, da lui?
«Dai lettori italiani, e soprattutto dai fan di Bruce, ho ricevuto solo grandi complimenti, cosa che naturalmente mi fa molto piacere. Dagli Stati Uniti, e in particolare da lui, purtroppo nulla».
Il libro rivela un Bruce diverso, non solo il rocker infaticabile che vediamo sul palco…
«Nella sua autobiografia Bruce si rivela come uomo insospettabilmente fragile e soprattutto - è questo l’aspetto che ha più stupito i suoi fan - affetto da depressione, da parecchi anni. Sembra incredibile, vedendo la grinta con cui ancora oggi, a 67 anni, affronta quasi quattro ore di concerto ininterrotto. Eppure, è lo stesso Bruce a spiegare che: la mia capacità di reggere tre ore e rotte di spettacolo per quarant’anni come un purosangue - di per sé una dimostrazione del mio timore patologico di non riuscire a fare abbastanza - nasce dalla consapevolezza che, per avere successo, bisogna dare tutto».
Che cosa l’ha colpita di più dell’autobiografia, sia in senso positivo, che negativo?
«Mi ha colpito la sua carica umana travolgente, frutto di una storia piena di sacrifici, false partenze, fatica e sudore. Una storia che lo ha portato a diventare una delle rockstar più grandi del mondo senza però perdere un briciolo della sua umiltà e della gratitudine verso i compagni della E Street Band - ai quali lo lega un rapporto a dir poco fraterno - e verso il suo pubblico».
Traducendo questa autobiografia ha avuto modo di confrontarsi con Springsteen, magari per capire meglio alcuni passaggi del testo?
«Ho avuto modo di comunicare con il suo editore americano, purtroppo non con lui direttamente».
Ma anche lei un fan sfegatato, un «accecato dalla luce»?
«Bruce mi piace, ma non posso dire di essere un fan sfegatato. Amo alcuni suoi album: l’ultimo in ordine di tempo è Human Touch, ampiamente stroncato da pubblico e critica. In seguito trovo che si sia fatto ripetitivo, anche se l’ultimo, High Hopes, ha sonorità nuove e interessanti. Sono però inevitabilmente un grande fan del personaggio Bruce: leggendo il libro, e più ancora traducendolo, è impossibile non innamorarsi di lui».
È stato diverso, più difficile, lavorare a questo libro rispetto ad altre traduzioni?
«Sapevo che il libro sarebbe stato un bestseller, sicuramente il più venduto fra quelli che ho tradotto finora. Ma questo non mi ha spaventato, anzi, mi ha spronato a dare il massimo».
Quale messaggio arriva da «Born to Run»?
«Quello semplice ed eterno, che vale per tutti: mai smettere di credere ai propri sogni».
Adesso in quale lavoro è impegnato?
«Dopo un paio d’anni passati quasi esclusivamente in compagnia di libri musicali, sto traducendo il romanzo Sycamore della statunitense Bryn Chancellor».
Qual è il lavoro di cui va più fiero, sinora?
«La traduzione di Broken Music, l’autobiografia di Sting, grande amico di Bruce, fra l’altro. Sting è il mio cantante e artista preferito in assoluto. Nel suo caso, sono riuscito a conoscerlo personalmente e ci sentiamo tuttora».
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