L’INDAGINE
Prelato inguaia Binda. Caccia al coltello: stop
Omicidio Macchi: monsignor Bertoldi fa saltare un alibi e richiama in causa don Sotgiu. Non si scava più a Cittiglio: senza esito le ricerche dell’arma del delitto
A far traballare l’alibi di Stefano Binda c’è un sacerdote, la cui testimonianza è stata acquisita dal sostituto procuratore generale Carmen Manfredda e dal suo staff di investigatori subito dopo l’estate. All’epoca aiutante del parroco di Brebbia, il futuro alto prelato ha fatto mettere nero su bianco un episodio che rischia di mettere seriamente in ambasce la difesadell’uomo accusato d’aver ucciso la studentessa varesina Lidia Macchi, massacrata con 29 coltellate nel gennaio del 1987.
«Mi ricordo ancora - dice monsignor Piergiorgio Bertoldi - come se fosse oggi, che erano venuti in parrocchia sia Giuseppe Sotgiu (a quel tempo non ancora sacerdote ma studente universitario, ndr) sia Stefano Binda», ha dichiarato il religioso che ha visto crescere i due amici nella comunità parrocchiale di Brebbia. Nel suo ricordo c’è nitido lo sfogo di Sotgiu, di ritorno dall’interrogatorio reso in Questura a Varese pochi giorni dopo l’omicidio di Lidia Macchi.
L’ex compagno di liceo, nonché vicino di casa di Binda, era apparso molto preoccupato e lamentava il fatto di non riuscire a ricordare che cosa avesse fatto e dove fosse la sera del 5 gennaio 1987, la data in cui fu quasi certamente assassinata la ragazza, poi trovata cadavere la mattina di due giorni dopo.
Di fronte all’evidente stato di apprensione di Sotgiu, l’allora viceparroco brebbiese ha riferito le parole in apparenza rassicuranti di Binda: «Ma quella sera eravamo andati al solito bar, non te lo ricordi?».
Un’affermazione che fa a pugni con l’alibi di Pragelato, invocato da Binda in quei giorni, dopo diversi cambi di “scena”.
Sono intanto state sospese le ricerche dell’arma del delitto e di altri elementi utili per le indagini nella zona boschiva di Cittiglio dove nel gennaio 1987 fu trovato il cadavere di Lidia.
Finora gli accertamenti disposti dal sostituto pg di Milano Carmen Manfredda nell’area posta sotto sequestro e in tre ville abbandonate da decenni non avrebbero dato alcun esito.
Potrebbero riprendere in un secondo momento, dopo una valutazione degli inquirenti sui prossimi passi ancora da compiere dopo che, lunedì 19 dicembre, il gup di Varese ha rinviato a giudizio Stefano Binda, l’uomo arrestato lo scorso gennaio con l’accusa di aver ucciso la ragazza, sua ex compagna di liceo.
Non sono state riscontrate, inoltre, tracce biologiche sui coltelli trovati nei mesi scorsi nel parco Mantegazza a Varese dove, secondo un’ipotesi investigativa, l’assassino avrebbe nascosto l’arma del delitto nei giorni successivi all’omicidio.
Sono ancora in corso, invece, gli esami sulla salma di Lidia Macchi, riesumata lo scorso 22 marzo.
Un pool di esperti coordinato dall’anatomopatologa Cristina Cattaneo sta esaminando capelli, peli, un lembo di pelle e le unghie, sotto le quali potrebbero essere rimaste tracce del dna dell’assassino.
Articolo sulla Prealpina di mercoledì 21 dicembre.
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