L’ORA DEL GIUDIZIO
Processo a “mister truffa”
Auto e immobili di lusso le sue “specialità”. Chiesti 6 anni e 8 mesi in appello
Non solo la conferma della sentenza di condanna a sei anni e otto mesi, comminata al termine di un giudizio con rito abbreviato dal Gup milanese Sofia Fioretta lo scorso autunno. Ma anche la richiesta che sia dichiarato nei suoi confronti lo status di delinquente abituale alla luce del suo curriculum criminale che lo ha visto protagonista anche negli anni ‘90 di un giro in grande stile di auto rubate, ripulite e vendute come nuove tra Lombardia e Sicilia. Non è stata certo tenera, il 21 aprile, nel corso della sua requisitoria, il sostituto procuratore generale di Milano, Gemma Gualdi, nei confronti di un 57enne originario di Tradate, sotto processo dinanzi ai giudici della quarta Corte d’Appello per una maxi-truffa immobiliare da non meno di un milione e mezzo di euro nell’ambito dell’operazione “Re Mida” dei carabinieri del Nucleo investigativo di Milano. Non stiamo parlando di una truffa qualsiasi, ma di ben 17 truffe immobiliari per altrettante compravendite fittizie di una mezza dozzina di appartamenti di pregio in centro a Milano, secondo la contabilità della pubblica accusa. Truffe che, a detta del primo giudice, avrebbero visto il tradatese, attualmente agli arresti domiciliari, e un altro uomo (condannato a otto anni di reclusione sempre in abbreviato e allo stato ancora ristretto in carcere) nelle vesti di incontrastati capi-promotori di una associazione a delinquere (un’ipotesi di reato contestata dai legali del tradatese, gli avvocati Alberto ed Ermanno Talamone) finalizzata oltre che alla truffa anche all’auto-riciclaggio. Le persone raggirate, che avevano messo un annuncio per vendere il proprio appartamento, erano state contattate da persone che si qualificavano come intermediari per conto della grossa società immobiliare svizzera intenzionata a investire sulla piazza milanese. I truffatori visionavano l’appartamento, si facevano recapitare copie dei documenti catastali e delle utenze con la scusa di dover verificare scrupolosamente le carte prima di procedere all’acquisto e si facevano pure dare le chiavi degli appartamenti, dicendo di dover fare delle verifiche, per realizzarne poi una copia. A quel punto i truffatori “clonavano” l’identità dei venditori: falsificavano documenti di identità e codici fiscali e rimettevano in vendita l’immobile “clonato” ad un prezzo molto più conveniente (per esempio, 350 mila euro anziché 800 mila) veicolandolo attraverso i principali siti di vendite immobiliari. I diversi componenti della presunta associazione a delinquere, al termine di trattative all’insegna della massima professionalità, si accordavano per una caparra (ma nel caso di un appartamento furono siglati cinque compromessi nel giro di un paio di mesi), variabile dai 50 mila ai 450 mila euro, poi formalizzata dinanzi a notai, il più delle volte ignari. Quindi, sempre molto circospetti e prudenti, sparivano dalla circolazione. Il “ricavato” delle vendite fittizie? Subito (o quasi…) trasformato in lingotti d’oro da una società di preziosi all’ombra della Madonnina.
La sentenza d’appello è attesa per la metà di maggio.
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