L’INDAGINE
«Pronto ad attaccare la Questura di Varese»
Jihadisti di casa nostra: le intercettazioni inchiodano Abderrahmane Khachia e i suoi complici. Incredulità a Baveno, dove abita la quarta arrestata: «Una donna gentile»
Gli investigatori della Digos e del Ros, coordinati dal procuratore aggiunto Maurizio Romanelli e dai pm Enrico Pavone e Francesco Cajani, stanno analizzando pc, smartphone e altro materiale informatico sequestrato ai quattro arrestati nel blitz antiterrorismo di ieri in Lombardia che ha fatto emergere progetti di attentati a e alla Questura di Varese Roma da parte di presunti jihadisti legati all’Isis.
Abderrahim Moutaharrik, operaio e atleta di kickboxing di origini marocchine, la moglie Salma Bencharki, Abderrahmane Khachia, marocchino di Varese e fratello di Oussama, foreign fighter morto in Iraq lo scorso dicembre, e Wafa Koraichi, sorella di Mohamed, che è in Siria con la moglie Alice Brignoli e i figli a combattere da oltre un anno (i due risultano latitanti), sono stati tutti portati nel carcere milanese di San Vittore (è probabile che poi vengano trasferiti ad Opera). Gli interrogatori di garanzia davanti al gip di Milano Manuela Cannavale si dovrebbero tenere lunedì 2 maggio.
SETE DI VENDETTA
«Da quando è morto Oussama mi sono sentito che posso... Da lì ho sempre avuto il pensiero e la voglia di andare lì a trovare i fratelli, a vedere la terra (dello Stato Islamico, ndr), ho tanto desiderio di andare lì. Giuro, sai cos’è che mi fa... in Questura (a Varese, ndr) quella volta quando hanno portato via mio fratello senza motivo, era innocente, se trovavo qualcuno che mi preparava per l’operazione…».
La conversazione del 6 febbraio scorso, intercettata dagli investigatori della Digos, mentre si trovava a Lecco invitato a casa dell’amico Moutaharrik Abderrahim, e inserita nell’ordinanza di custodia cautelare che gli ha spalancato le porte di San Vittore, la dice lunga su quanto il giovanissimo Abderrahmane Khachia avesse maturato «una pressoché totale condivisione dell’ideologia jadista del Califfato», ma anche sulla sua «sfumata volontà», prendendo a prestito le parole del gip Cannavale, di «colpire la Questura di Varese» dando vita a una ritorsione per l’espulsione disposta nel gennaio 2015 dal ministro dell’Interno Angelino Alfano nei confronti del fratello maggiore, che a quel tempo lavorava come saldatore alla Petrelli di Castronno, perché «le sue analisi su Twitter e sul web erano apertamente favorevoli allo Stato Islamico».
Sempre seguendo l’analisi del gip, Abderrahmane Khachia non faceva più mistero «del desiderio di rendersi parte attiva del progetto politico-religioso islamista, contemplando la necessità di emulare le gesta del fratello morto sotto il bombardamento crociato» e «di dare corso al proprio martirio per la causa dell’Isis» scendendo giù nello «Sham» (la regione geografica che comprende il Sud della Turchia, la Siria, il Libano, Israele, la Giordania e la Palestina e che viene indicata dagli islamisti come Grande Siria, «dove regna la legge di Dio e, grazie a Dio, è un luogo dell’unificazione, è la casa dell’Islam, è la terra del Califfato».
«Lo dico sempre ai ragazzi, dovete scegliere la strada della fede o essere infedeli ragazzi», commentava il ragazzo di Brunello, in un primo momento convinto di raggiungere la Siria grazie alle amicizie sue, in primis il fratello, e del padre attraverso gli Imam di Varese, anche se poi dovrà ricredersi e ricorrere alla raccomandazione di Koraichi, attraverso la sorella di quest’ultimo. Ormai il dado è tratto. Il giovane è pronto a tutto. A fine marzo registra e invia via whatsapp un messaggio ad un misterioso sceicco: «Fratelli, questa mia lettera che mando a voi, giuro vi vogliamo bene, non vediamo l’ora di vedervi ed incontrarvi. Siamo qua io e mio fratello Abderrahim e giuro, non parliamo di altro che di voi e delle vostre vittorie. Come ha detto Sheiko Adnani, invaderemo Parigi prima di Roma e l’Andalusia…».
«UNA RAGAZZA BELLA E GENTILE»
«Una bella ragazza, gentile e carina». Così il sindaco Maria Rosa Gnocchi descrive Wafa Koraichi, la sua concittadina arrestata dai carabinieri del Ros con l’accusa di far parte di un’organizzazione terroristica di matrice islamica.
«Ho appreso la notizia dai giornalisti - commenta il sindaco Gnocchi -. Quello che so è che tutti la conoscono come una bella ragazza, gentile e carina. Aveva preso la residenza a Baveno nel 2013 e un anno dopo era nato il figlio. Si era rivolta ai Servizi sociali e aveva avviato le pratiche per ottenere il bonus bebè della Regione. Non aveva mai dato problemi e agli assistenti sociali aveva fornito tutte le informazioni richieste. Una persona tranquilla e disponibile».
Qualche mese fa aveva anche trovato lavoro alla pizzeria Nazionale sul lungolago come lavapiatti.
«Si era rivolta anche al Centro per l’impiego provinciale - prosegue Gnocchi - e un paio di mesi fa aveva trovato lavoro come lavapiatti in una pizzeria, mentre il marito fa il pizzaiolo a Verbania».
Lavorando per lei era diventato un problema gestire il bimbo di 2 anni: «Dal momento che il contratto di lavoro era stagionale - dice il sindaco - aveva deciso di affidare il bambino a sua mamma a Lecco per i prossimi mesi». Si dice “scioccato” il suo datore di lavoro, Fabrizio Mozzana: «L’ho assunta un mese e mezzo fa. Non ho parole per quello che è accaduto. Ho visto che non si presentava al lavoro, ho provato a scriverle e chiamarla ma il cellulare era sempre spento. Solo dopo ho letto le prime notizie».
Secondo il suo datore di lavoro, Wafa era una donna al di sopra di ogni sospetto: «Gentile, educata, una brava persona. Conosco suo marito da dieci anni. Lei era sempre disponibile, mi aveva anche stirato le camicie».
© Riproduzione Riservata