IN APPELLO
Rapina e manganellate: fu tentato omicidio
Anziano aggredito in casa, cambia l’accusa: ora i due imputati rischiano pene superiori ai 10 anni
Colpo di scena, sì. Anche se fino a un certo punto. E per i due gallaratesi che presero brutalmente a manganellate un anziano pensionato samaratese nel corso di una rapina a domicilio il futuro si fa decisamente a tinte fosche. Perché i giudici della terza Corte d’Appello (presidente Piero Gamacchio) parrebbero seriamente intenzionati a prendere in considerazione l’ipotesi di affibbiare ai due imputati, in carcere dal giorno del fattaccio, avvenuto in via Adriatico a Samarate il 17 novembre 2015, anche il reato di tentato omicidio. Ipotesi che, invece, il gup del Tribunale di Busto Arsizio Giuseppe Limongelli aveva scartato, qualificando la pure efferata aggressione come lesioni gravi e condannando, al termine di un giudizio con rito abbreviato, il 47enne Alessandro Vinti e Fabio Argentieri, 32 anni, rispettivamente a sei anni e a quattro anni e 10 mesi di reclusione, oltre a una provvisionale sul risarcimento di 10 mila euro a favore della parte offesa, costituitasi parte civile per tramite dell’avvocato Alberto Arrigoni.
A perorare la causa del tentato omicidio è stato il procuratore capo di Busto Arsizio in persona, Gianluigi Fontana, estensore materiale dell’impugnazione alla base del processo d’appello che ha preso il via venerdì a Milano. I suoi motivi di appello sono stati “coltivati” in aula dal sostituto procuratore generale Gaetano Santamaria Amato, il quale non a caso, al termine della sua requisitoria, ha sollecitato una reformatio in peius del verdetto di primo grado, chiedendo di irrogare ai due imputati - entrambi presenti in aula - una doppia condanna a 10 anni e sei mesi di carcere.
A giustificare la riqualificazione della contestazione di reato (da lesioni gravi a tentato omicidio) ci sarebbero tutta una serie di elementi inconfutabili: dall’utilizzo inopinato di un manganello telescopico, sul genere di quelli in dotazione alle forze dell’ordine, alla serialità e alla violenza dei colpi (quasi una decina, ndr) che, in base a una perizia di parte, avrebbero potuto essere letali, anche perché sistematicamente indirizzati alla testa.
Una furia inopinata, quella riservatagli dal più grande dei due rapinatori (l’altro si occupò di arraffare circa 7.500 euro, denaro che l’uomo aveva l’abitudine di custodire in contanti a casa, ndr), dalla quale la vittima si salvò sacrificando un braccio e una mano, entrambi fratturati.
Di fronte alla richiesta della Procura Generale, la Corte d’Appello ha scelto di riaprire la fase istruttoria, convocando una nuova udienza per metà ottobre.
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