LA SENTENZA
Rapina e minacce: altri guai per Argenziano
Aggressione a un medico: un anno e quattro mesi all’ergastolano per uxoricidio
La prescrizione “cancella” il reato di minacce, ma non quello di rapina impropria. Non è stato foriero di buone notizie per Alessandro Argenziano , il 41enne condannato all’ergastolo per aver soffocato nel sonno la moglie, dopo averle fatto ingerire medicinali, il processo svoltosi ieri, mercoledì 6 dicembre, dinanzi ai giudici della Terza Corte d’appello e relativo a un episodio che lo vide protagonista all’interno del Centro psicosociale di via Maspero a fine ottobre 2009.
Con i suoi motivi di impugnazione, il suo legale, l’avvocato Stefano Amirante, come già aveva fatto del resto in primo grado, chiedeva l’assoluzione del proprio assistito, ma il collegio giudicante ha risposto negativamente, limitandosi a ritoccare al ribasso la pena dopo aver dichiarato il non doversi a procedere per prescrizione per quel che concerne il reato di minacce.
In altre parole, la pena, come da richiesta anche del sostituto procuratore generale milanese Gaetano Santamaria Amato,è stata ridotta di un solo mese rispetto a quanto in precedenza stabilito dal giudice del Tribunale di Varese Orazio Muscato, e cioè a un anno e quattro mesi di reclusione e 400 euro di multa.
Il 29 ottobre di otto anni fa Argenziano si era presentato nello studio di uno dei medici che operano nel centro di cura da lui frequentato per ottenere una sorta di “lettera di raccomandazione” per un sacerdote del Sacro Monte che attestasse il suo stato di indigenza e, in buona sostanza, il suo bisogno di denaro.
A fronte del rifiuto del camice bianco, l’uomo che avrebbe ucciso la moglie Stefania Amalfi in un appartamento di via Conca d’Oro la sera del 26 aprile 2015, si era fatto aggressivo rivolgendogli frasi minacciose. Quali?
«Quando fa buio, aspettati una coltellata nella schiena».
E ancora: «La tua macchina te la faccio saltare».
Non contento delle intimidazioni, l’uomo, forse per vendetta della mancata adesione alle sue richieste da parte del medico, che per altro non denunciò l’aggressore, era entrato nel suo studio e aveva tre cartelle cliniche di altri pazienti del Cps per poi scappato, non prima di essersi assicurato la fuga spintonando un’infermiera accorsa per recuperare la documentazione.
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