LIDIA MACCHI
«Reperti ritrovati, chi c’è dietro?»
A sorpresa riappaiono organi, i dubbi del pm. Le reazioni della difesa e della parte civile
Dice di essere «annichilita e stupefatta». E dopo aver chiesto scusa a mamma Paola, usa un’immagine davvero forte: «Questa povera ragazza la stiamo ritrovando pezzettino dopo pezzettino». Ennesimo colpo di scena, nel corso della sesta udienza del processo a Stefano Binda per l’omicidio di Lidia Macchi (5 gennaio 1987) davanti alla Corte d’Assise presieduta da Orazio Muscato. Come avviene ormai d’abitudine, il sostituto procuratore generale Gemma Gualdi apre l’udienza illustrando gli esiti di ulteriori indagini svolte negli ultimi giorni. E così in aula bunker emerge un fatto nuovo datato 21 giugno 2017: «In un armadio pieno di cartacce dell’Istituto di Medicina legale di Varese è stata trovata una sacca con visceri di Lidia Macchi - spiega Gualdi -: parti di organi tra i quali potrebbero esserci anche parti dell’utero, forse con tracce del Dna dell’aggressore. Un altro ritrovamento incredibile dopo quello dei quattro vetrini nella prima metà di giugno, sempre nella Medicina legale di Varese. Com’è possibile che parti degli organi di una vittima di omicidio fossero conservati in una libreria? E trovarli adesso o farli ritrovare adesso ha uno scopo?». Una domanda che apre scenari inquietanti. E una domanda a cui è seguita la richiesta di una perizia sui reperti conservati nella sacca, così da essere certi che si tratti di resti di Lidia Macchi, per poi procedere alla ricerca di Dna estranei. Ieri la Corte ha stabilito che prenderà una decisione la prossima udienza, mentre il legale di parte civile, l’avvocato Daniele Pizzi, ha parlato di «sgomento e incredulità» della famiglia Macchi davanti alla notizia, dato che «della scomparsa di molti reperti si parla da quattro anni».
Pochi minuti ed ecco un altro colpo di scena. Il sostituto pg Gemma Gualdi annuncia di aver denunciato Gianluca Bacchi Mellini, il teste che durante la scorsa udienza aveva cambiato versione dopo un anno e mezzo e aveva dichiarato che ora ricorda la presenza dell’imputato Stefano Binda a Pragelato durante la vacanza svoltasi dal primo al 6 gennaio 1987. «È una cosa inaccettabile - ha aggiunto l’avvocato Sergio Martelli, uno dei due legali dell’imputato - perché adesso chi deve ancora testimoniare verrà in aula sapendo che rischia di essere indagato se farà certe dichiarazioni».
Testimonianza importante per l’accusa, infine, quella di monsignor Marco Ballarini, che ha ricordato un colloquio nel piazzale della chiesa di Brebbia con Stefano Binda e Giuseppe Sotgiu «due mesi dopo la morte di Lidia»: «Sotgiu era preoccupato perché era stato interrogato e non era riuscito a ricordare dove fosse la sera del delitto. E Binda l’aveva tranquillizzato dicendo: “Eravamo insieme, siamo sempre insieme, e siamo andati in quella birreria”». Parole in apparente contraddizione con quello che l’imputato ha sempre sostenuto e cioè che la sera del 5 gennaio 1987 era in montagna.
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