IL PERSONAGGIO
"Siate cittadini, non servi"
Don Gallo mattatore a Cadegliano: dopo il Breviario, recito la Costituzione
Parla per oltre due ore. A ottantatré anni è ancora capace di scuotere l’uditorio, andando immediatamente, senza giri di parole, al cuore dei problemi. Racconta la realtà senza compromessi.
Don Andrea Gallo ha scaldato l’atmosfera di Cadegliano Viconago, giovedì pomeriggio sotto il tendone allestito nel Parco 2 Mondi, dopo il mezzo diluvio universale che si era abbattuto sulla Valganna.
Silvia Priori, organizzatrice del festival dedicato alla memoria di Gian Carlo Menotti, ha ricordarlo come il compositore, nato proprio a Cadegliano cento anni fa e fondatore del Festival dei Due Mondi a Spoleto, fosse un uomo del dialogo, un "simbolo di integrazione".
Spoleto era un luogo di incontro tra artisti di tutto il mondo, un grande laboratorio, una sorta di "città celeste", come lui stesso amava chiamarla.
E un uomo del dialogo è anche Don Gallo. Una vita trascorsa in mezzo agli ultimi, tra i drogati, i carcerati e le prostitute, al servizio degli altri senza chinare il capo di fronte ai potenti. Una vita passata a denunciare ingiustizie, a lottare per l’uguaglianza e la libertà, a testimoniare un vangelo fatto di solidarietà e di azione civile.
È difficile immaginare, nell’Italia di oggi, un Cristianesimo così combattivo, alternativo al sistema e radicale nella sua semplicità, così lontano dai compromessi con i potenti. Don Gallo cita il vangelo come cita Gramsci, Bobbio e De Andrè. Legge una poesia trovata nelle tasche di un ragazzo morto di overdose, parla dei disoccupati, del G8 di Genova, del movimento NO TAV.
È convinto che il Cristianesimo sia dialogo e ricerca comune e non una serie di dogmi. Come gli aveva suggerito una volta Norberto Bobbio, non fa distinzione «tra credenti e non credenti, ma tra pensanti e non pensanti». E non si tira indietro se deve fare nomi e cognomi.
Ricorda la tragica vicenda del suicidio di Mario Monicelli, ricorda il suo scandalo di fronte alle accuse dell’onorevole Binetti.
«Quella signora lì dice si essere vergine e portare il cilicio: se la incontro voglio vedere se è vero! In quei giorni il mio vescovo mi ha rimproverato per aver dato l’impressione di fare l’apologia del suicidio. Ma io dico: chi può giudicare sulla terra? Dio può giudicare, non l’uomo».
I vescovi, in cinquant’anni di sacerdozio, lo hanno chiamato spesso. E non ci stupiamo. Lo hanno chiamato quando distribuiva preservativi alle prostitute e per rimproverarlo di frequentare i ragazzi drogati. Perfino per impedirgli di parlare al funerale di Fernanda Pivano, ma alla fine, naturalmente, l’ha spuntata lui.
In questi mesi don Gallo porta in giro per l’Italia uno spettacolo dedicato a Girolamo Savonarola.
Sul palcoscenico legge alcune delle prediche del frate domenicano grande accusatore dei Medici nella Firenze della fine del 1400, finito bruciato sul rogo. Legge, commenta e cerca agganci con l’attualità.
«Non è difficile trovarli», confessa.
Le parole di Savonarola contro le «giovani che diventano merce al potente» sono tremendamente attuali. Nel titolo, Io non taccio, c’è tutto don Gallo. Il prete partigiano, il seguace di don Bosco, il prete dei centri sociali. Il prete comunista, ha detto qualcuno.
«Ma chi me lo ha gridato durante un incontro con altri prelati - racconta sorridendo - non sapeva che stavo citando un documento della Cei del 1981».
Crede nell’uguaglianza tra tutti gli uomini e di "tutti i sessi", come sottolinea. E confessa di avere una sua preghiera, dopo il breviario: i primi dodici articoli della Costituzione italiana.
Giorgio Bocca nel 2003 scriveva che il «virus del fascismo è in perenne libera uscita». Sembrano parole di oggi: «La Chiesa di Gesù - incalza don Gallo - ha appoggiato il fascismo. È questa la Chiesa di Gesù?».
Ma se «il male grida forte, la speranza grida più forte».
Alla fine un invito, coerente con il suo percorso umano e spirituale: «Siate cittadini e cittadine e non servi».
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