LA SENTENZA
S'innamora e lo perseguita: tre mesi
Stalking nei confronti di un uomo di 35 anni con 1.600 sms in nove mesi: quarantasettenne condannata ma il giudice tiene conto della "provocazione"
Questa volta lo stalker è una stalker e la vittima è un uomo. E a dispetto di quanto si creda, il trentacinquenne - che è assistito dall’avvocato Alberto Arrigoni - è pure andato a denunciare la sua persecutrice di dodici anni più vecchia di lui e ha avuto la soddisfazione di vederla condannata a tre mesi di reclusione (con beneficio della sospensione della pena). Il giudice monocratico Luisa Bovitutti ha però riconosciuto all’imputata l’attenuante della provocazione. Perché sebbene il ragazzo non gradisse il pressing ossessivo, in qualche occasione si era concesso, rispondendo pure ad alcuni messaggi non del tutto neutri.
L’attrazione fatale, stando almeno a come la vicenda si è dipanata nel corso del dibattimento, sarebbe nata nel 2009 tra i banchi di scuola. I due frequentavano lo stesso corso serale di un istituto professionale gallaratese.
Dopo un mese trascorso in classe insieme, la quarantasettenne gli aprì la porta di casa.
«Per me era solo una storia di sesso», ha spiegato il trentacinquenne, a quanto pare aveva messo in chiaro i termini della relazione con la clausola «nessuna storia seria», ma dopo la prima notte passata insieme già lo studente era stato elevato al rango di «amore mio». Non solo. La donna si affrettò pure a presentargli la figlia quattordicenne. Da lì in poi un delirio. Se il “vittimo” non rispondeva istantaneamente ai messaggi della stalker (1.600 quelli contati in nove mesi) partivano sms di ingiurie e di insulti pesantissimi, con accuse esplicite di tradimenti e tresche con le più improbabili conoscenti del trentacinquenne.
La quarantasettenne arrivò pure a sospettare un intrallazzo tra il «suo amore» e una professoressa dell’istituto. Massimo imbarazzo pure sul posto di lavoro. Il gallaratese è dipendente di una catena di distribuzione ed è lì che l’imputata l’avrebbe più volte raggiunto per fargli le consuete tammurriate, mandandolo a chiamare dai colleghi e addirittura attraverso l’altoparlante, mettendosi a urlare quando lui si negava. Esasperato, lo stalkizzato aveva persino chiamato in causa mamma e papà: «Parlatele voi», chiese ai genitori, «fatele capire». Unica via d’uscita, la denuncia, presentata a dicembre del 2009 ai carabinieri che si occuparono delle indagini coordinati dal pubblico ministero Nadia Calcaterra.
Il giudice però ha tenuto conto nella valutazione della debolezza della carne. Per sua stessa ammissione, infatti, l’uomo avrebbe ceduto alle profferte almeno cinque volte nell’arco di sette mesi, lanciando in un certo senso messaggi contraddittori o comunque alimentando la labile fiammella dell’«in fondo però gli piaccio». Da qui l’attenuante della provocazione.
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