L’AGGRESSIONE
«Sono viva per miracolo»
Il racconto della parrucchiera aggredita in negozio a forbiciate dall’ex convivente
Resta in carcere il quarantunenne che il 30 dicembre ha tentato di uccidere la ex aggredendola nel negozio di parrucchiere dove la trentaduenne lavora.
Il gip Patrizia Nobile ha convalidato l’arresto della polizia.
«Sono viva per miracolo», commenta la vittima che in fondo aveva un timore paralizzante. Ossia che dopo qualche ora di carcere l’uomo venisse rimesso in libertà. Il suo è il racconto di una donna che sente un grande vuoto istituzionale intorno a sé.
«Si parla tanto di rete, le associazioni fanno propaganda e pubblicità delle loro attività a sostegno della lotta contro la violenza sulle donne, ma io mi sono sentita sempre sola e per sei anni ho sofferto in silenzio».
Tanto è durata la sopraffazione fisica e psicologica che il quarantunenne avrebbe esercitato su di lei.
«Mi diceva se parli sei un’infame e io stavo zitta».
Eppure qualche segnale la trentaduenne l’aveva lanciato, anche se molto silenzioso.
«Sono finita all’ospedale più volte raccontando di essere caduta dalle scale o di aver picchiato contro un’antina. Possibile che i medici non sappiano riconoscere i segni di un pugno? Eppure nessuno si è attivato per fare la segnalazione alle forze dell’ordine e io da sola non avevo il coraggio di farlo».
E ancora: «Anche quando sono andata in ospedale l’altro giorno non ho trovato nessuno fuori ad aspettarmi, solo la mia amica. Mi sarei aspettata che ci fosse un filo diretto con la tanto sbandierata rete di protezione, invece mi sono trovata ancora sola. E lui fosse uscito subito dopo, come troppo spesso accade, nessuno mi avrebbe aiutata».
La donna ha scarsa fiducia nelle istituzioni, «perché la polizia fa un ottimo lavoro ma poi, si legge ovunque, bisogna attendere anni prima di arrivare a una condanna e le donne si scoraggiano e vivono nella paura che il loro aguzzino resti impunito».
A quanto pare il quarantunenne - padre del suo bimbo di tre anni - coglieva ogni pretesto per mettere le mani addosso alla vittima.
Bastava che la cena non fosse di suo gradimento per fargli scattare un’aggressività irrefrenabile o che il figlio non avesse voglia di mangiare.
«Ho vissuto per anni terrorizzata».
Le fa eco l’amica che l’altro giorno era fuori dal Pronto soccorso ad accoglierla.
«Per fortuna l’aggressione è avvenuta davanti ad altra gente e in un locale pubblico, così è stato inevitabile portare alla luce questo dramma». Perché purtroppo la trentaduenne si sente quasi in difetto.
«Si vergogna, quasi. Ma chi dovrebbe vergognarsi è lui. Ora anche lei lo sta capendo. Si parla tanto di rete, ma le donne muoiono perché nessuno le difende», chiosa l’amica.
La Procura, nel solo 2017, ha contato venti casi tra omicidi e tentati omicidi, buona parte dei quali commessi da ex compagni fuori controllo.
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