LE INDAGINI
Taroni, il pm oscura Facebook
Omicidi in ospedale, provvedimento a tutela dei minori. Camera penale contro la fuga di notizie: «Sconcertante ricerca di notorietà»
Mentre le indagini sugli amanti diabolici proseguono, mercoledì 7 dicembre è stata depositata una denuncia nei confronti dei social network, Facebook soprattutto, in tutela dei figli di Laura Taroni: è stato chiesto e ottenuto l’oscuramento del gruppo che prende di mira l’infermiera innanzitutto.
Ma l’intenzione è quella di rintracciare l’amministratore e l’ideatore della pagina per poter procedere secondo quanto previsto. Ed è durissima anche la presa di posizione della Camera penale di Busto Arsizio sull’emorragia incontrollata di notizie fluita intorno all’indagine sulle morti in corsia.
In un comunicato il direttivo presieduto dall’avvocato Roberto Aventi «esprime serie perplessità sulla diffusione delle emergenze investigative», ossia delle carte che dovrebbero essere coperte da segreto istruttorio.
«Non si può non sottolineare che gli elementi di indagine sono per loro natura parziali e la loro diffusione ha quale unico effetto una condanna prima del giudizio, in difetto di un effettivo accertamento, con irrimediabili quanto intuibili conseguenze. Nella fase di indagine non vi sono prove, ma solo risultanze che, prima del processo, sono mere supposizioni: l’ampia divulgazione di interi stralci di intercettazioni ‐ mentre le investigazioni sono in itinere dà solo adito a inaccettabili elucubrazioni, viola i principi cardine dell’ordinamento, comprime inutilmente i diritti dell’indagato. Aberrante appare che persone indagate, non destinatarie di misure cautelari, apprendano dai media contenuto di intercettazioni e di atti di indagine ai quali gli stessi e i loro difensori non hanno accesso come previsto dal codice di procedura. Non vi è difesa possibile innanzi a tanto malcostume».
Chiara e dura l’allusione all’ex capitano della compagnia di Saronno, ospite domenica all’Arena di Massimo Giletti, su Rai Uno.
«Sconcerta che rappresentanti della polizia giudiziaria si siano esposti mediaticamente senza remore, alla ricerca forse di notorietà e visibilità, mediante l’utilizzo strumentale di vicende sub judice. Ciò è indice di un’impostazione culturale preoccupante, specie se espressa da chi indaga. Non si può non stigmatizzare chi confonde la persona sottoposta alle indagini dal colpevole: si priva di senso il processo stesso, si annichiliscono le garanzie costituzionali, si sfregia il volto della Giustizia, trasformando il procedimento penale in un meccanismo cieco e onnivoro, capace di divorare intere esistenze in pochi istanti. I processi penali si debbono svolgere nelle aule giudiziarie e non in qualche talk show; gli operanti devono riferire gli atti di indagine nelle competenti sedi e non in trasmissioni televisive. La Camera penale di Busto assumerà ogni iniziativa necessaria per impedire che tali inaccettabili abusi continuino, a tutela di garanzie che sono un diritto assoluto e inalienabile, non solo di chi oggi è indagato, ma dell’intera collettività».
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