MALTRATTAMENTI
«Ti devi mettere il velo»
Botte alla moglie italiana “infedele”, dopo anni di violenze la donna si ribella e denuncia il marito marocchino: il giudice gli vieta di avvicinarsi a lei e ai due figli
All’inizio tutto miele e mescolanza religiosa. Ma sono trascorsi solo pochi mesi di convivenza prima che il marocchino calasse la maschera e mostrasse la sua natura di islamico convinto, almeno per quanto riguarda le condotte muliebri.
Il trentaseienne colpito giovedì 12 dalla misura cautelare del divieto di avvicinamento alla moglie, emessa dal gip Nicoletta Guerrero su richiesta del pubblico ministero Chiara Monzio Compagnoni, era il classico esempio del maschilismo fondamentalista: se la madre dei suoi figli, italiana, non portava il velo e non obbediva ai suoi dettami, erano botte. Lui però sperperava i soldi in droga e alcol, vizi che il Corano non tollera per nulla.
I fatti contestati, sui quali hanno indagato i carabinieri di Albizzate e della compagnia di Gallarate, risalgono addirittura al 2008. Uno dei primi episodi accadde proprio a febbraio di quell’anno, quando l’uomo sferrò una ginocchiata al petto della moglie mandandola così in ospedale con un trauma toracico. Tutto perché a suo dire la vittima conduceva una vita un po’ troppo occidentale. Da quel momento in poi fu tutto un susseguirsi di violenze, inasprite dalla scoperta che la moglie mettesse da parte risparmi superiori a quanto credesse lui, e degenerate completamente dalla nascita dei loro gemelli, nel 2015. Schiaffi e calci sono scene a cui i bambini - che l’indagato voleva sottrarre alla mamma per farli crescere da una donna araba - sono stati abituati fin dal primo vagito. In una tiepida giornata di primavera dell’anno scorso, per esempio, il trentaseienne afferrò la moglie per la testa e gliela spaccò contro il muro, gridandole «Ti uccido». E i gemellini lì, ad assistere.
Qualche settimana più tardi la rincorse con un coltello, glielo puntò alla gola e le urlò «Ti sgozzo». Botte da orbi in macchina anche per colpa, si fa per dire, del mega centro commerciale di Arese. La famiglia, quel pomeriggio dello scorso luglio, era in giro in macchina dalle parti dell’Altomilanese. I bambini avevano fame e avevano necessità di cambiare i pannolini, la mamma propose quindi di fermarsi al Centro per comprare qualcosa da mangiare e poterli sistemare. Apriti cielo, nel tempio del male proprio no. E giù ceffoni nell’abitacolo, per proseguire con il pestaggio a casa, dove le lussò un dito distorcendole la mano.
L’infedele cattolica ormai non poteva più uscire da sola, quando lo faceva era con un’amica fidata che doveva però fotografare i loro spostamenti e inviarli al marito. Amici e vicini la vedevano sempre più spesso tumefatta, ricevevano i selfie che lei faceva per documentare le percosse (che poi, ovviamente, cancellava), sentivano le urla e avevano ricevuto anche alcune confidenze. «Ma non posso denunciare, ho paura di perdere i miei figli e di finire sotto terra». Come se non bastasse, lui dopo aver abbandonato il lavoro, sperperava il sussidio di disoccupazione della coniuge in fumo, hascisc e alcol. Per fortuna a fine anno la vittima ha trovato il coraggio di andarsene di casa, svelare tutto ai carabinieri e iniziare una nuova vita.
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