LA SENTENZA
Tifosi assolti: ma quale razzismo?
Boateng reagì per gli insulti a Melissa Satta, i giudici escludono completamente la matrice xenofoba
Assolti perché il fatto non sussiste, altro che tifosi razzisti. E quei «buh» piovuti sulla testa di Kevin Prince Boateng durante l’amichevole Pro Patria-Milan del 3 gennaio 2013 erano soltanto un «segno di disapprovazione».
Lo chiariscono in via definitiva le motivazione della sentenza d’appello, depositate nei giorni scorsi. Per il presidente Maria Grazia Bernini e il giudice relatore Pietro Caccialanza, l’interpretazione della vicenda è molto semplice: «È del tutto verosimile, benché Boateng lo abbia negato, che la sua reazione sia stata determinata dalla percezione che ha avuto dell’insulto rivolto da qualcuno del pubblico alla compagna Melissa Satta» (la quale era stata apostrofata con epiteti pecorecci). «È davvero difficile ritenere che espressioni del genere non abbiano influito sulla sua rabbiosa decisione di prendere in mano il pallone e calciarlo in direzione dei tifosi». E proseguono: «Ciò è avvalorato dal fatto che anche in un’altra occasione di ben maggior prestigio - ossia il match di serie A Juventus-Milan del successivo 21 aprile - alcuni tifosi juventini» avevano rivolto a Boateng insulti xenofobi veri e prori, «tanto che il giudice sportivo aveva inflitto un’ammenda di 30mila euro»: ebbene, l’allora centrocampista non fece un plissé.
Oltre all’insussistenza del reato, i giudici di secondo grado hanno analizzato anche l’infondatezza dell’aggravante della finalità razzista. I versi che echeggiavano allo Speroni non fomentavano l’odio razziale perché erano «sporadici, la loro destinazione non era univoca», visto che «non ci furono esternazioni nei confronti del giocatore di colore Emanuelson» ma soprattutto perché è «impossibile assimilare qui buuh a versi animaleschi piuttosto che a generiche manifestazioni di antipatia e contestazione verso la squadra avversaria o i suoi giocatori, non per fomentare odio razziale ma per schernire i giocatori avversari per innervosirli».
Completamente smontata la tesi accusatoria anche sotto il profilo personologico degli imputati i quali, si legge, «non hanno alcuna propensione razzista». Una conclusione che i giudici derivano dalle testimonianze chiave ascoltate in aula durante il processo di primo grado. Come se non bastasse, i magistrati d’appello hanno contestato anche l’identificazione degli imputati, risalendo quindi a monte delle indagini e alla mancanza di filmati incriminanti, come da sempre sostenuto dai difensori Fausto Moscatelli, Luca Abbiati, Alberto Talamone e Fiorella Ceriotti. «Le riprese non coprono tutto l’arco della partita e non sono mai state dirette verso gli autori dei presunti cori. In nessun momento si vedono gli imputati proferire versi, ululati o ingiurie. I video concernono momenti successivi alla reazione di Boateng».
Sicché: «Diversamente da quanto indicato nel capo di imputazione (...) non pare possibile ritenere che le intemperanze del pubblico avessero univocamente finalità di discriminazione razziale». A differenza di quanto sostenuto dal tribunale di Busto (che aveva condannato i tifosi) «si è trattato di vocalizzi diretti al giocatore avversario contestato non per il colore della pelle, bensì perché reo di comportamenti di gioco scorretti». La taccia di xenofobia, sui supporter tigrotti, a questo punto dovrebbe essere caduta al di là di ogni ragionevole dubbio.
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