GIOVANI
«Today is a bad day», il corto di Perrotta & Serrago
I giovani, il cinema odierno, i sogni che faticano a diventare realtà, i compromessi, la speranza che va tenuta accesa nonostante tutto. Sono tanti gli accenti di «Today is a bad day», il cortometraggio scritto e diretto rispettivamente da Mattia Serrago e Samuele Picarelli Perrotta, due ragazzi cresciuti a pane e Filmstudio ‘90, il cineclub varesino che tante passioni ha allevato senza far troppo rumore.
Samuele P. Perrotta, come preferisce abbreviarsi, compirà 21 anni il 23 giugno, ma prima di quella data, il 15 giugno per la precisione, avrà l’onore di presentare il corto al cinema Nuovo (ore 21) di Varese.
Protagonista del suo film è Alex, un giovane aspirante sceneggiatore. Direttor Rossini, produttore famoso, è interessato ai suoi lavori. Per lui Alex è molto dotato, ma ha una grave pecca: il suo stile non è in linea con il mercato. Al contrario di quello di Valentina, pronta a svendere la serietà del suo lavoro pur di avere il suo nome sul grande schermo…
Samuele, la critica che «Today is a bad day» muove è in particolare verso il cinema italiano?
«Nella scrittura Mattia e io ci siamo posti l’obiettivo di non essere troppo satirici. Volevamo un approccio più documentaristico per lanciare uno sguardo sul contemporaneo senza intaccarlo. Non a caso abbiamo attinto a personaggi reali, a testimonianze ed esperienze che sono state messe in scena nel modo più fedele possibile. Comunque il contesto mostrato può benissimo adattarsi anche al cinema internazionale».
La critica potrebbe essere estesa anche ad altri ambiti professionali o sociali?
«Sì. La storia di Alex presenta diversi livelli di lettura: il più superficiale parla del cinema odierno, il secondo, un po’ più profondo, della difficoltà del giovane talentuoso italiano a prestare le proprie capacità nel lavoro per cui è più portato. Infine c’è un livello più nascosto in cui si svela una forte fiducia in un futuro migliore e in una possibile solidarietà collettiva».
Perché questo tuo primo film è una riflessione così amara?
«Purtroppo la realtà cinematografica mostra pochi spiragli di luce, ma penso che da quest’opera, in opposizione con la negatività del titolo, emergerà più una sensazione di positività che di rassegnazione».
Parliamo del cast, gli attori sono tutti giovani varesini.
«Gli interpreti sono tutti under 30 reclutati in cinque giornate di casting in sala Filmstudio ‘90 nell’estate scorsa. Come criterio di scelta io e Mattia abbiamo privilegiato la capacità d’improvvisazione rispetto ai curricula. A farci scegliere sette persone tra le tante che si sono presentate è stata la carica di curiosità ed energia che abbiamo riscontrato in alcuni e che si avvicinava molto alla nostra e a quella che doveva caratterizzare l’intero progetto».
Dai, elencali…
«Allora, in ordine di arrivo: Moreno Valenzano, 28 anni, è Alex, il protagonista; Francesco Mantriota, 23 anni, Sam; Davide Riboldi, 20 anni, Chris; Licia Casalini, 19 anni, Sofia, la ragazza di Sam; Margherita Fontana, 20 anni, Maggie, la ragazza di Chris; Leonardo Amico, 20 anni, Leo, un barista; Sara Lemma, 19 anni, Marie, una cameriera; infine Valentina Masi, 28 anni, è Valentina, webstar e nemesi di Alex».
Come avete lavorato?
«A ridosso delle riprese abbiamo organizzato un periodo di training per conoscere meglio le personalità degli attori e approfondire con loro i personaggi che avrebbero dovuto interpretare. Ma abbiamo scelto di non far leggere il copione definitivo fino a una settimana prima delle riprese, per non creare negli attori un’immagine sbagliata e prevenuta dei personaggi che avrebbero dovuto interpretare».
Accanto agli attori c’è il cast tecnico.
«Anche questo composto da ragazzi under 30, promettenti professionisti del settore. Conoscendoci siamo diventati qualcosa che va oltre il semplice gruppo di lavoro».
In mezzo a tanta gioventù spicca l’artista Giorgio Vicentini che ha 65 anni…
«Vicentini lo conosco da tempo, ho condiviso per anni il mio percorso scout con suo figlio Pietro. Quando ho dovuto pensare a qualcuno che potesse rivestire i panni di un produttore cinematografico corrotto dal mercato mi è subito venuto in mente lui, per aspetto e per presenza scenica. Giorgio è stato fin da subito interessato al progetto e si messo in gioco alla grande approfondendo ogni sfaccettatura del suo personaggio e buttandosi in qualcosa che non aveva mai fatto prima, oserei dire con strabilianti risultati».
Dove avete girato?
«Abbiamo girato per lo più in interni e location note nella città di Varese dal 12 al 17 settembre 2016. Una volta finite le riprese abbiamo preparato una prima bozza in montaggio che abbiamo proposto a una cinquantina di persone in forma privata. Questa prima proiezione è stata indispensabile per me e Sebastiano Rizzato, che mi ha aiutato col montaggio, per capire quali fossero i punti deboli e di forza dell’opera e di lavorarci ancora un po’ su».
Quali musiche avete usato?
«Una scena importante del cortometraggio si svolge in un jazz club underground che abbiamo ricostruito alle Cantine Coopuf. Da qui il desiderio di basare la colonna sonora su un jazz moderno e aggressivo che, in linea con gli ultimi due film di Damien Chazelle ( Whiplash e La La Land), riproponesse un genere musicale che grida una forte voglia di tornare alla luce. Quindi ho affidato la colonna sonora ad alcuni musicisti locali: Pietro Vicentini, percussioni, Fabrizio Peccerillo, audio engineer, e Franco Ghirimoldi, tastierista e compositore».
Ma come avete finanziato il progetto?
«Il progetto è completamente autoprodotto dal sottoscritto. Le risorse economiche sono arrivate da lavoretti saltuari, ripetizioni d’informatica e consegna di fiori che ancora mi permettono di mettere da parte piccole somme che investo in questa idea. Con grande fortuna, poco prima di cominciare le riprese, il videomaker Ugo Danesi di Ergasterio Srl Varese si è interessato al nostro progetto e ha scelto di entrare a farne parte come coproduttore garantendoci parte dell’attrezzatura di cui avevamo bisogno per ottenere un lavoro tecnicamente semiprofessionale».
Certo che il vostro corto è molto più di un corto…
«Beh, per noi è stato prima di tutto un laboratorio di crescita professionale. Poi è la testimonianza che il cinema indipendente è una componente essenziale per l’industria cinematografica. Inoltre dimostra che il cortometraggio ha identità e regole proprie che da sempre fungono da punto di partenza per il cinema e la realizzazione di lungometraggi».
Tu e Mattia venite da Filmstudio ‘90, un cineclub sempre molto disponibile verso i giovani.
«Sì, la nostra passione per il cinema si è consolidata entrando in contatto con il cineclub e con due persone come Giulio Rossini e Alessandro Leone. In particolare Alessandro, direttore della rivista online Cinequanon, per la quale Mattia e io scriviamo regolarmente: grazie a lui ho approfondito la mia cultura cinematografico e ho trovato il coraggio di mettermi in gioco con questo cortometraggio. Ma devo dire che tutto Filmstudio ‘90 sta riponendo un’inaspettata fiducia in noi e perciò non vediamo l’ora di lanciarci in iniziative dedicate in particolare alle nuove generazione di cinefili. Come abbiamo appena fatto con la rassegna Corteggiami, tenutasi nel nuovo spazio Sub Strato».
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