CHEF SOTTO VETRO
Tra una schiscetta gourmet e una Cena di mezzanotte
Quando le maestre della scuola materna chiedevano ai bambini di disegnare qualcosa, i suoi compagni producevano i ritratti di mamma e papà, della casetta con il giardino ricco di fiorellini colorati e l’immancabile albero con le mele rosse. Lui no. Lui disegnava arrosto con patate al forno, spaghetti al sugo, piatti di pasta di tutti i tipi e verdure. Era evidente da subito quale fosse la strada di Matteo Pisciotta, oggi chef e patron del ristorante Luce di Villa e Collezione Panza a Varese. La sua cucina trae ispirazione dalla tradizione, ma è in continua evoluzione tra territorialità e ricerca nelle culture gastronomiche di tutto il mondo.
Pisciotta, si descriva.
«Mi piacciono le cose belle. Sono un appassionato di design e tutto quello che c’è di bello dal punto di vista culturale. Sono alla ricerca continua delle forme che mi ispirino e che possa poi tradurle in estetica del piatto, perché in cucina oltre al buono c’è il bello. E poi sono curiosissimo, di tutto».
Una curiosità che l’ha portata anche sul piccolo schermo come giudice del nuovo cooking game Cena di mezzanotte in onda su La5.
«Sì anche se avevo già all’attivo altre esperienze televisive per il Gambero Rosso, la televisione svizzera e Donna Moderna. Sono stato notato dalla signora Fatma Ruffini, produttrice storica del gruppo Mediaset, che mi hanno proposto la conduzione di Cena di mezzanotte insieme agli amici chef Claudio Sadler e Antonella Ricci. Rispetto alle altre esperienze televisive, questa è molto diverso: ero abituato a cucinare e spiegare le ricette davanti a una telecamera, ma non alla conduzione vera e propria. Per una puntata che sul piccolo schermo ha la durata di un’ora, ci vogliono dalle 14 alle 16 ore di riprese e lavoro. Sembra però che me la sia cavata, visto che dopo le prime registrazioni mi hanno definito un «animale televisivo» chiedendomi quando smetto di fare il cuoco per dedicarmi solo alla televisione. A parte gli scherzi, oggi le esperienze televisive sono un completamento del profilo professionale di un cuoco. La cucina è un settore che gira fortissimo e piace moltissimo, e lo chef è diventato una persona molto mediatica».
La trasmissione, che va già in onda il mercoledì alle 23.15, è un format diverso da quelli proposti finora.
«Ho accettato perché il progetto mi sembrava leggero, senza la parte cattiva e splatter del cuoco. È un talent diverso dedicato a tre chef professionisti, executive e proprietari di ristoranti, che si sfidano in ogni puntata all’interno della Metro di San Donato dove fanno la spesa con un budget guadagnato rispondendo a delle domande che gli vengono fatte in macchina girando per Milano. Devono affrontare due spese turbolente con l’obbligo di alcuni ingredienti dati da noi giudici. Nella prima manche in mezz’ora devono realizzare una ricetta libera con l’unico vincolo di inserire uno degli ingredienti obbligatori. Un concorrente viene eliminato e gli altri due si risfidano dando sfogo alla creatività. Ogni puntata ha il suo vincitore a cui viene dato in premio un assegno che moltiplica per dieci volte il costo delle spese da lui effettuate, mentre chi perde la prima manche paga di tasca sua la spesa che ha effettuato e chi perde nella seconda, entrambe le spese».
Con lei ci sono Claudio Sadler e Antonella Ricci. Che giudici siete?
«Siamo tutti molto esigenti, non c’è un “cattivo”. Avendo anche fare con chef professionisti ci sono degli aspetti del lavoro che sono scontati, per questo ci aspettiamo che il prodotto finale sia assolutamente di grande qualità. Claudio Sadler è uno chef di grande spessore e solidità dal punto di vista qualitativo, insignito di due stelle Michelin è patron di due ristoranti a Milano, uno gourmet e l’altro bistrot. Antonella Ricci è oggi patron de Al Fornello da Ricci (due stelle Michelin da 22 anni) a Ceglie Messapica in Puglia ed è nata in cucina. Figlia d’arte, suo padre è considerato il Gualtiero Marchesi del meridione che che ha portato avanti l’evoluzione della cucina gourmet del Sud».
Lei è anche la mente di Jarit un suo progetto gastronomico tutto varesino.
«Jarit nasce da un’intuizione mia e del mio socio Andrea Piantanida, compagno di avventura da più di 10 anni. Abbiamo cominciato a invasare i piatti che si possono trovare in carta al Luce e abbiamo visto che la qualità gastronomica ed organolettica veniva preservata. Ad oggi, il progetto è cresciuto e i vasetti della collezione Jarit sono replicabili, anche nel numero, e veicolati in spazi più o meno grandi per un tipo di ristorazione veloce. Credo infatti che la pausa pranzo fuori casa sia il momento più bistrattato e meno gratificante dal punto di vista gastronomico. Abbiamo reso accessibile a tutti dei piatti di grandi chef in un progetto innovativo, divertente e gustoso».
Sadler e Ricci sono alcuni dei nomi che hanno prestato le loro ricette al progetto.
«Hanno sposato subito l’idea di Jarit insieme a Vinod Sookar, chef mauriziano e marito di Antonella Ricci, e alla toscana e stellata Katia Maccari. Ogni due mesi la collezione di vasetti si rinnova dando spazio alla stagionalità e alla varietà degli chef che vi partecipano».
Nella realizzazione dei vasetti c’è spazio anche per i prodotti varesini?
«Certamente, non si può non contestualizzare la cucina nell’ambito socio-economico in cui si opera. La cosa bella di Jarit è che tutti gli chef che partecipano pescano gli ingredienti dai loro bacini gastronomici. Io e gli altri cuochi varesini che fanno parte del progetto utilizziamo i prodotti del nostro territorio».
Chi realizza concretamente le porzioni stellate?
«Ad oggi Lorenzo Secondi è lo chef che prepara tutte le porzioni. Quando Sadler mi ha detto “Matteo mettimi nel vasetto”, mi ha anche indicato alcune ricette da inserire. Lorenzo ha trascorso con lui una giornata in cucina per capire il gusto e apprendere la ricetta. Fondamentale è infatti la fase del primo contatto che ci consente di vedere qual è il progetto delle chef che abbiamo coinvolto così da capirne l’essenza, portarne a casa il know-how e tutto quello che serve per replicare in modo fedele il piatto».
Dove vengono cucinate le pietanze?
«L’esecuzione è a Varese in via Dunant, in quella che è la cucina del ristorante Fuoricontesto, della mensa della Croce Rossa, dell’università e delle persone bisognose, strutturata apposta in modo che faccia fronte a tutte le necessità».
Uno spazio quello della Croce Rossa che serve dunque più clienti.
«Quando la Croce Rossa ci ha offerto di gestire lo spazio ci ha anche chiesto se fosse possibile aprire una mensa che oltre ad essere aperta per l’università e gli stessi dipendenti e volontari della Cri, servisse dei piatti alle persone meno abbienti. E così è: quella di via Dunant è una mensa etica. Ad oggi la cucine della Croce Rossa e il progetto Jarit girano sotto le mani di Lorenzo Secondi, chef di grandissimo talento e spessore. Io entro in quella cucina almeno una volta la settimana perché penso che condividere generi sempre qualità».
La sua idea di cucina si allontana dai fornelli e diventa progetto sociale.
«Sì, stiamo infatti ragionando anche su altre idee in cui poter operare dal punto di vista etico e solidale. Ci piacerebbe molto entrare nelle scuole elementari, perché quelli sono gli anni in cui i bambini cominciano ad avere un approccio autocritico rispetto a quello che mangiano, e cercare di aiutarli a farsi un’idea della ristorazione e della cucina con un ruolo di primaria e fondamentale importanza».
Expo in questo senso ha aiutato secondo lei?
«Un pochino sì. Molti progetti sono nati con un grande entusiasmo legato proprio al discorso della valorizzazione dell’ambito culinario e del prodotto, ma la maggior parte, ahimè, hanno finalità imprenditoriali che snaturano i concetti alla base di Expo.»
Se Varese fosse un piatto che ingredienti avrebbe?
«Tornando verso casa, sul cavalcavia alla fine dell’autostrada, c’è un punto in cui la vista può aprirsi: si vedono il lago, il Monte Rosa, il Sacro Monte e la città. Gli ingredienti del mio piatto varesino sono quelli che si vedono da quel punto: qualcosa di prealpino, qualcosa che ricorda il lago come il pesce di acqua dolce, e qualcosa che richiami il bosco come le castagne e le erbe selvatiche spontanee».
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