TRIBUNALE
Truffa, promotore a processo
L’accusa: report taroccati per ingannare i clienti che dopo oltre dieci anni avrebbero scoperto l’azzeramento dei loro investimenti, quasi due milioni di euro
L’inizio di questa intricata vicenda risale al 1999, quando due soci decidono di affidare a un promotore finanziario – conosciuto grazie a rapporti di famiglia piuttosto stretti – un gruzzolo di tutto rispetto: quasi due milioni di euro, per la precisione l’uno avrebbe versato un milione e 200mila euro e l’altro circa 600mila, in investimento dal profilo di rischio medio basso. Ebbene, nell’autunno di due anni fa, i clienti scoprirono che di quel patrimonio non era rimasto il becco d’un quattrino. Da qui, il processo penale in corso nel Tribunale di Varese dinanzi al giudice monocratico Alessandra Mannino.
Il promotore, un uomo di 46 anni, è accusato di truffa aggravata perché – stando alle accuse mosse sulla base di un’indagine coordinata dal sostituto procuratore della Repubblica Massimo Politi - in oltre un decennio avrebbe fatto credere ai due imprenditori che i loro investimenti andavano a gonfie vele, così da continuare a percepire le provvigioni su un andamento positivo che in realtà non era tale: una versione avvalorata da report bancari taroccati ad arte per simulare un andamento ottimale. La presunta truffa avrebbe iniziato a scricchiolare nel luglio del 2014, quando ai due soci venne recapitata una lettera del noto istituto di credito per cui l’uomo lavorava in cui si precisava che il loro promotore non faceva più capo a esso. Alla richiesta di spiegazioni, l’agente si sarebbe giustificato dicendo che si trattava soltanto un errore della banca salvo poi, un paio di mesi dopo, presentarsi in ditta dai due e ammettere che in effetti i loro soldi non c’erano più.
La vicenda è quindi proseguita a suon di carte bollate e ora è arrivata in Tribunale, dove i due soci si sono costituiti parte civile – assistiti dall’avvocato Gianluca Franchi, che sta seguendo la questione anche sul fronte civile in cui è chiamato a rispondere pure l’istituto bancario -, mentre l’imputato è assistito dall’avvocato Marco Lacchin. E proprio la difesa sostiene che le cose non siano andate affatto così, bensì i due imprenditori avrebbero sempre dato l’autorizzazione, a volte per iscritto e altre volte solo verbalmente, alle operazioni finanziarie.
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