PERUCCHINI
Un Sogno Atlantico partito da Leggiuno
Tremila miglia nautiche da percorrere in circa sei settimane remando da La Gomera nella Canarie fino a raggiungere Antigua. È la TaliskerWhisky Atlantic Challenge la gara di canottaggio che si ripete ogni due anni, più dura al mondo con un alto concentrato di insidie e sfide estreme la cui partenza è stata il 15 dicembre. Insieme ai più svariati equipaggi da tutto il mondo tra cui reduci di guerra, studenti universitari e un team di quattro mamme, al via c’era anche anche il varesino, nonché primo italiano a partecipare alla gara, Matteo Perucchini, 34 anni, di Reno di Leggiuno, ma trapiantato in Inghilterra prima per studi e oggi per lavoro, dal 2014 è infatti uno dei proprietari di una ditta di consulenza. Lo abbiamo sentito pochi giorni prima della sua partenza.
Quando ha cominciato a pensare di poter partecipare alla gara?
«Sono ormai più di dieci anni che seguo la TaliskerWhisky Atlantic Challenge e che sogno di prenderne parte. Ho cominciato a remare 20 anni fa ma ho scoperto per caso il mondo dell’ocean rowing. Stavo cercando online libri sulle scalate dell’Everest quando ne ho trovato uno su due norvegesi, Frank Samuelsen e George Harbo, che nel giugno del 1896 hanno remato da New York alle Isole Scilly. Ne rimasi affascinato, ma la prima volta che ho seriamente considerato la traversata in solitaria è stato nel 2007».
Come si è preparato fisicamente?
«L’allenamento è stato impostato da Andrew Middlebrooke, allenatore e preparatore sportivo con più di 18 anni di esperienza e che al suo attivo vanta la collaborazione nella preparazione di esploratori che si sono cimentati con il continente Antartico e di numerosi atleti di fama mondiale. Oltre ai lunghi allenamenti sul remergometro e in barca, una volta a settimana lavoro con uno specialista nella preparazione atletica di discipline quali Mma e boxe. Faccio quasi tutti i giorni sedute di crossfit per lavorare sulla resistenza e sul potenziamento muscolare. Sia la boxe che il crossfit sono importanti anche per allenare i muscoli di supporto essenziali quando le onde renderanno la mia remata asimmetrica e che, a sua volta, andrà a sollecitare in maniera anomala e imprevedibile la muscolatura».
Ci vuole anche una forza psicologica non indifferente.
«La preparazione fisica anche se importante, non è essenziale. Lo è invece quella psicologica, ed è questa che sarà determinante al raggiungimento del mio obbiettivo. Per questo mi sono preparato con sedute di yoga e la meditazione».
Come è organizzata la sua barca?
«Lunga 7,32 metri e larga 1,83 metri, la barca sarà il mio mondo per tutta la traversata dato che non ne avrò una di supporto e non potrò ricevere aiuti esterni. È stata disegnata e costruita nel 2012 in Inghilterra: lo scafo è in sandwich laminato, con cabine e ponte di remata in fibra di carbonio e resina epossidica. Ci sono due cabine, una per dormire e riposarmi, l’altra che userò come magazzino per scorte, viveri e attrezzature. Alla partenza la barca peserà più di 850 kg e avrò pochissimo spazio per sdraiarmi in cabina. A bordo potrò contare su strumentazioni tecnologicamente avanzate e alimentate da cinque pannelli solari, che mi aiuteranno con la navigazione e la rotta. Avrò a disposizione due dissalatori per rendere l’acqua potabile: uno elettrico collegato ai pannelli solari e uno manuale d’emergenza».
Come come sarà la sua giornata tipo?
«Dovrò remare per 12-14 ore al giorno e quando non sarò ai remi mi riposerò, terrò in ordine la barca e mi assicurerò del funzionamento dell’equipaggiamento. Poi dovrò mangiare: durante la gara infatti consumerò più di 8000 calorie al giorno. Sfortunatamente sono celiaco e ho anche un’allergia alle uova. Tutto ciò ha reso la preparazione e la pianificazione della mia dieta ancor più difficile. Il cibo non è solo una questione di calorie, ma in mare è essenziale per il morale. Porterò viveri per 90 giorni ma dato che è impossibile trasportare la scorta d’acqua necessaria convertirò l’acqua dell’Oceano in potabile».
Potrà parlare con la terraferma?
«Avrò un telefono satellitare che mi permetterà di rimanere in contatto con la mia famiglia e con il mio team a terra. Questo sarà cruciale anche per ricevere informazioni su perturbazioni e venti. Per tutti gli altri, mi potrete seguire sul sito www.sognoatlantico.com».
C’è qualcosa che la spaventa di più?
«La battaglia più grossa sarà con me stesso. In alcuni casi sarò io l’unico ostacolo al successo della traversata. Raggiungere i mie limiti sia a livello mentale che fisico e dovermi confrontare con questa parte di me stesso, è la cosa che forse non mi più fa paura ma che di sicuro mi preoccupa. Ci saranno momenti molto difficili e negativi nei quali dovrò trovare la forza mentale di reagire e continuare a remare».
Ha un portafortuna?
«La mia ragazza, Rebecca, mi ha promesso una mascotte per il viaggio, una gattina di peluche che mi terrà compagnia».
Chi sono i suoi sfidanti?
«Alla partenza ci saranno 26 equipaggi, di cui 6 singolisti: 3 inglesi, 2 sudafricani, ed il sottoscritto».
La sua famiglia come ha preso la decisione di partecipare alla gara?
«Come in tutto quello che ho fatto nella vita, la mia famiglia mi è sempre stata vicina e mi ha aiutato, ma parlare loro di questa sfida è stata dura. Sono consapevole che i mesi che passerò in mare saranno difficili per tutti, anche per Rebecca, nonostante sia una persona coraggiosa e che ama l’avventura. Per fortuna capiscono il valore che questo sogno ha per me».
La gara ha anche finalità benefiche.
«In aggiunta alla sfida sportiva, la Talisker Whisky Atlantic Challenge ha una forte componente umana: ogni equipaggio va a supportare una o più associazioni onlus. Sogno Atlantico andrà a supportare l’associazione italiana per la Lotta al neuroblastoma, tumore maligno che colpisce soprattutto neonati e bambini al di sotto dei 10 anni, e la Cardiac risk in the young che lavora per ridurre la frequenza di morte cardiaca improvvisa tra i giovani».
Cosa rappresenta per lei questa gara?
«Non è solo una sfida sportiva, ma anche un percorso interiore, spero di crescita, che mi porterà ai limiti della resistenza fisica e mentale. Attraversare un oceano a remi in solitaria è sicuramente un’esperienza che ti cambia e tre mesi di isolamento mi permetteranno di riflettere, riprendere contatto con me stesso e conoscermi sotto una luce nuova».
Ora è alle Canarie e sta per partire. Il suo pensiero prima del via quale sarà?
«Le emozioni sono tante e cambiano spesso in alti e bassi. Credo che il mio ultimo pensiero prima della prima remata sarà sicuramente promettere a me stesso di non rischiare troppo e fare il possibile per tornare a casa sano e salvo». (s.m.)
© Riproduzione Riservata