Usa
Usa, altro che gaffe diplomatica: dietro telefonata Trump-presidente sei mesi di lobby
L' ex senatore Bob Dole ha lavorato dietro le quinte per il contatto
New York, 7 dic. (askanews) - Altro che una telefonata giunta
quasi per caso e accettata con il semplice scopo di ricevere
congratulazioni. Quella fatta dal presidente di Taiwan venerdì 2
dicembre al presidente eletto Donald Trump non è stata una pura
gaffe diplomatica, ma il frutto di un piano orchestrato a Taipei
con l'aiuto di un lobbista americano di peso. L'obiettivo di
Taiwan è sfruttare l'elezione di un nuovo presidente per
migliorare le relazioni con gli Usa, cosa che ha già creato
tensioni con la Cina: Pechino considera l'isola parte del suo
territorio ma la nuova leader Tsai Ying-wen crede che Taiwan sia
"un Paese sovrano e indipendente".
E' l'ex senatore Bob Dole ad avere lavorato dietro le quinte
negli ultimi sei mesi per creare un contatto di alto livello tra
funzionari taiwanesi e lo staff di Trump. Un lobbista del gruppo
Alston & Bird, con sede a Washington, Dole ha coordinato una
serie di incontri tra i consulenti del presidente eletto e
funzionari di Taiwan. Non solo: è riuscito a fare in modo che
nella piattaforma programmatica del partito repubblicano fosse
inserito un linguaggio favorevole all'isola. E' quanto emerge da
documenti analizzati dal New York Times e depositati al
dipartimento di Giustizia, che richiede a chiunque lavori come un
agente rappresentante un governo estero di dettagliare i propri
sforzi nell'influenzare l'amministrazione Usa.
Gli sforzi di Dole, per cui Alston
& Bird ha incassato 140.000 dollari tra maggio e ottobre, sono
culminati nella insolita telefonata tra Trump e Tsai. Una
telefonata che ha rotto ogni protocollo in uso negli Usa da
quando nel 1979 l'allora Commander in chief Jimmy Carter ordinò
la chiusura dell'ambasciata Usa a Taiwan (avendo adottato con
Richard Nixon nel 1972 la politica della "One China",
l'ambasciata di riferimento doveva essere solo quella a Pechino).
Nessun presidente eletto o in carica aveva mai parlato con il
leader di Taiwan da allora, anche se la relazione non ufficiale
sull'asse Washington-Taipei è robusta. E nessuno aveva osato
chiamare il leader in carica "presidente", come fatto invece da
Trump, visto che i media cinesi usano l'espressione "leader della
regione di Taiwan".
In una intervista al New York Times, Dole ha spiegato che a Taiwan "sono ottimisti. Vedono un nuovo presidente, un repubblicano, e piacerebbe loro sviluppare una relazione più stretta". L'ex senatore del Kansas ha aggiunto che "è giusto dire che abbiamo avuto una qualche influenza" nel mettere a punto la telefonata tra Trump e Tsai: "Quando rappresenti un cliente e [quel cliente] fa richieste, devi rispondere".
Dole - che dice di avere iniziato a interessarsi a Taiwan da senatore quando il Congresso stava mettendo a punto nel 1979 il Taiwan Relations Act - la legge che di fatto fornisce le basi legali per permettere agli Usa di mantenere rapporti con Taiwan (a cui per esempio vende armi). Un lobbista per conto di Taipei da quasi due decenni, il 93enne rappresenta il Taipei Economic and Cultural Representative Office in Usa, l'ambasciata non ufficiale di Taiwan: per quel ruolo, guadagna 25.000 dollari al mese.
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