L'EVENTO
Van Morrison, l'orso che ammalia
Serata di magie musicali in piazza della Loggia: il quasi settantenne nordirlandese e la sua band in forma strepitosa
George Ivan "Van the Man" Morrison, settant'anni tra due mesi, è un personaggio il cui smisurato talento musicale - alimentato e costantemente perfezionato in oltre mezzo secolo di onorata carriera - vive in costante, precario equilibrio all'interno di una personalità ruvida, poco affine agli slanci di empatia nei confronti di un pubblico che, incurante di ciò, continua ad idolatrarlo e a tributargli amore incondizionato. Magie della musica, evidentemente.
L'ennesima prova si è avuta l'altra sera nella magica (repetita juvant) cornice di piazza della Loggia a Brescia, dove l'artista nordirlandese ha "regalato" la sola tappa italiana di un tour 2015 che segue di pochi mesi la pubblicazione di "Duets-re-working the catalogue", trentaseiemo capitolo in studio di una carriera solista aperta nel '67 (senza contare gli esordi e i successi targati Them) per il quale ha scelto un manipolo di grandi artisti ad accompagnarlo nella rilettura di alcune perle sommerse del suo smisurato catalogo, da Steve Winwood a Natalie Cole, da Mick Hucknall a Georgie Fame e tanti altri.
Mentre il pubblico andava in visibilio per l'esecuzione, mai banale e con vette di altissimo spessore musicale, di pezzi arcinoti come di altri pescati in modo apparentemente casuale nella sua discografia, Van e la sua band apparivano in qualche modo slegati da ciò che avveniva giù dal palco, quasi a voler negare il rapporto intimo, profondo che unisce il fruitore al musicista. Pochissime parole, un solo brano presentato, quell' "Early in the morning" frutto di una collaborazione con l'appena scomparso B.B. King eseguito a mo' di tributo, un paio di ringraziamenti a denti stretti, novanta minuti di grande musica grazie a una voce straordinariamente comunicativa nonostante il continuo spiazzare l'ascoltatore con variazioni di tonalità e ritmo, insomma una performance pienamente all'altezza della fama e del pedigrée del protagonista sia pure di fronte alla voluta assenza di comunicazione verbale. La scaletta alterna momenti pescati abilmente tra le quasi 400 composizioni firmate dal "nostro", dagli esordi di Baby please don't go e Here comes the night - era Them - ai cavalli di battaglia come Moondance e Brown eyed girl a pezzi della produzione più recente fino all'omaggio a Ray Charles in I can't stop loving you. E quando, alle 22.35, sulle note di Gloria, l'omino con cappello, occhiali e sax si eclissa lasciando sul palco i suoi collaboratori (chitarra, basso-contrabbasso, batteria, tastiere e bravissima corista) a regalare una strepitosa coda strumentale alla serata, i duemila della piazza sanno già che l'incantesimo sta per spezzarsi. E la delusione per la fine è abbondantemente mitigata dalla consapevolezza di avere sfiorato, visto e soprattutto ascoltato uno dei più grandi artisti moderni viventi, in grandissima forma alla faccia dei settant'anni.
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