PERSONAGGI
Varesina la "voce" della Ferrari
Stefano Lai, 54 anni, di Varese, è il responsabile della comunicazione del cavallino rampante a Maranello
Ford non si dava pace pensando a Enzo Ferrari: «Diavolo di un italiano. Ogni lunedì i giornali del mondo lo citano gratis mentre tutti noi buttiamo via milioni in pubblicità». Ecco un problema che a Maranello non hanno da tempo: far conoscere un marchio che solo per valore viene dopo Apple, ma che per celebrità è di gran lungo in cima alla hit parade internazionale. È facile, visitando villaggi dell’India più povera, ed essendo italiani, trovarsi circondati da bambini a piedi scalzi e i vestiti laceri. In testa hanno cappelli con il cavallino rampante. Come se li siano procurati resta un mistero; che sappiano perfettamente a che cosa si riferisce quel simbolo di portata universale, è sicuro. La tv via satellite ha fatto miracoli.
E allora guidare la comunicazione della Ferrari è un gioco da ragazzi: basta non sbagliare le marce, entrare in curva con la bolina ben impostata, ed è fatta. Altra cosa è arrivarci in quella cabina di pilotaggio. Su tanti che potevano farcela l’ha spuntata uno di Varese: Stefano Lai, classe 1961, diploma di maturità al liceo scientifico Ferraris, carriera di comunicatore cominciata a Radio Varese con un trasmissione che andava in onda all’ora della sveglia. Faceva ascoltare le canzoni dell’epoca, leggeva i titoli dei giornali del mattino, lavorava in una piccola redazione nella quale si sono formati valorosi giornalisti. Come lui ha fatto strada, su circuito diverso, un altro della banda della consolle: Roberto Maroni.
La svolta dopo una laurea in sociologia, uno stage all’ufficio stampa di Omnitel, dieci anni di esperienze in alcune aziende tra le quali il gruppo Benetton. Colloquio con Luca di Montezemolo, alla presenza di Jean Todt: era il 2008. Assunzione e semaforo verde per un incarico che vale una vita. Migliaia di giovani lavorerebbero senza stipendio alla Ferrari, che è una specie di tabernacolo mondiale. Stefano Lai viene pagato e attualmente è il vicepresidente senior di un ufficio che ha videoterminali in tutto il pianeta.
Ford non aveva torto a provare invidia per «il Richelieu della automobili», una delle tante immagini coniate dai biografi per il grande Enzo. Stefano Lai, che ha casa e famiglia a Masnago, moglie inglese di nome Sally, due figli, non può che fare un cenno col capo: «Sì, non capita tutti i giorni di entrare alla Ferrari. A chi mi chiede di spiegare che cosa faccio rispondo: la mia giornata è una partita di Champions League, posso solo vincere. Se pareggio è una sconfitta».
E a chi le chiede di andare oltre le battute a effetto?
«Devi correre, questo è chiaro. Se ti culli sugli allori del passato, accarezzando un marchio onusto di celebrità, sei finito. Se non sai usare i freni, finisci fuori pista. Sei bravo se ogni giorno ti inventi qualcosa evitando smargiassate. Una casa dalla quale è uscita la prima automobile del 1947 merita rispetto. È come entrare in una chiesa, ti devi togliere il cappello. Io lo faccio ogni qual volta mi capita di passare vicino all’ingresso principale di Maranello, quello storico».
Lei è varesino, non di cognome…
«Da qualche parte nell’albero genealogico di famiglia deve esserci un avo sardo. Io sono nato a Bari, ho vissuto gli anni dell’adolescenza a Pisa, mi sento toscano. Mio padre per lavoro girava molto. Poi sono sbarcato a Varese e quella radio, la prima libera nell’Occidente occupato, come si diceva, mi ha fatto scoprire una passione. Fondata da Lovisolo, è stata acquistata dai socialisti, poi dalla Lega. Nello studio di registrazione conobbi nel 1985 Giuseppe Leoni, quello che si era presentato al consiglio comunale di Varese facendo un discorso in dialetto».
Come si comunica la Ferrari?
«Soprattutto sui siti internet, oltre che con le conferenze stampa, con la televisione. Come riferimento abbiamo due cifre: 600 milioni di tifosi nel mondo, ogni anno 7mila nuovi clienti. Vendiamo molto in Cina dove siamo presenti dal 1994».
Quest’anno la Formula Uno non vi premia…
«Siamo a ruota dietro alla Mercedes. Testa bassa e speranza. Se non molli, se dai fastidio, prima o poi il sorpasso riesce».
Come va con Marchionne? Ha rilanciato la Fiat portandola in America. La storia si ripeterà con la Ferrari?
«Non credo proprio. È vicina la quotazione in Borsa, ma la società è in mani salde. Il 90 per cento delle azioni è della Fiat, il 10 di Pietro, erede di Enzo Ferrari».
Che cosa resta della lezione del Grande Vecchio?
«Può apparire strano, ma in un’azienda nella quale la tecnologia è tutto, anche nell’involucro concepito dalle migliori archistar, la passione di chi ci lavora, la preparazione professionale rappresentano il vero patrimonio. Questo Enzo Ferrari lo ripeteva ogni giorno, ogni ora e là dentro da questo punto di vista non è cambiato nulla rispetto ai tempi suoi».
Quanto costa oggi una «Rossa»?
«Dai duecentomila euro in su».
Si possono fare paragoni commerciali con Porsche?
«Assolutamente no. Basta guardare i modelli. I tedeschi, senza tradire se stessi, si sono allargati nel settore dei Suv. Le Ferrari restano fedeli a tre religioni: baricentro basso, due porte, trazione posteriore».
A che cosa state lavorando?
«A tanti eventi. Tra questi un raduno, si chiama Cavalcata, che per la prima volta si svolgerà in America, aperto a un centinaio di clienti che scorrazzeranno sulle strade della Napa Valley a bordo delle loro automobili. Omaggio a un mercato al quale siamo legati da sessant’anni esatti».
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