LA REPLICA
Vavassori: "Noi non c'entriamo"
Il presidente dei tigrotti, dal Giappone prende le distanze dalla bufera del calcioscommesse: "Nessun socio occulto". I tifosi: "Sorpresi? No, bastava essere lì". Il procuratore antimafia: "Neapolis e Pro Patria epicentri della frode"
La voce di Pietro Vavassori, patron della Pro Patria, arriva dal Giappone. È lì per lavoro, ma lo hanno ovviamente già informato del ciclone che si
è abbattuto sulla sua società per colpa del calcioscommesse.
Il presidente: "Non c'entriamo"
«Ma noi non c'entriamo niente», spiega con voce ferma il proprietario del club tigrotto. Il titolare di Italsempione, in realtà, non vorrebbe lasciarsi andare ad uscite affrettare e esordisce
con un «non ho nulla da dire».
Poi però qualcosa la dice ugualmente. A partire dalla contestazione di quelle note presenti nell'ordinanza che identificano in Mauro Ulizio e Massimiliano Carluccio dei (suoi) «soci occulti» nella gestione della Pro.
Su questo Vavassori è perentorio: «Non c'è nessun socio occulto, non sono stati mai
soci, non hanno mai avuto alcun incarico ufficiale. E, se hanno fatto dei pasticci, li hanno fatti in proprio».
Sulla vicenda poi si cuce la bocca, trincerandosi appunto dietro gli impegni lavorativi che lo tengono lontano dall'Italia («Sono via da dieci giorni, sto lavorando e non so nulla della vicenda in questione»), quindi rinviando commenti approfonditi al suo ritorno a casa («Non conosco i fatti, quando sarò lì mi documenterò e vedremo») e ripiazzando nel discorso la frase di prima: «Noi non
c'entriamo nulla».
Gli resta però il tempo per lanciare un messaggio alla squadra che si sta preparando ai playout: «I ragazzi hanno una buona opporttunità per dimostrare la squadra che siamo, in risposta
anche a quello che ha detto il presidente del Lumezzane, il quale dovrebbe stare attento alle dichiarazioni che ha fatto e che farà».
Per capirsi Renzo Cavagna,
proprietario del team bresciano, che ha definito una «vergogna» l'andamento della stagione biancoblù. Parole che a Vavassori non sono piaciute. E allora conclude, ribadendo: «I giocatori hanno una buona occasione per mostrare di che pasta sono fatti».
I tifosi: bastava essere lì
Nel nubifragio che s'abbatte sulla squadra, il presidente del club Il Tigrotto, Sergio Marra, è campione di sintesi: «Con questi arresti si è solo tolto il coperchio da una pentola che emanava da mesi una grande puzza».
Insomma, tutti turbati ma nessuno particolarmente sorpreso fra i tifosi più affezionati dello Speroni. E Marra riprende: «Bastava essere lì a guardarle certe partite, con certi errori, per rendersi conto che non fosse una cosa normale. Anzi, mi meraviglio che altre gare non siano finite dentro il faldone e non vorrei che questo sia solo l'inizio».
Fatto sta che, perlomeno, l'azione della magistratura certifica l'idea che molti si erano fatti di una presa in giro: «Che Mauro Ulizio tenesse i fili della squadra lo sapevano anche i sassi. Che le scelte tecniche di qualche allenatore non fossero così linde si capiva anche senza essere esperti. Ora, se qualcuno non ci credeva, ci sono anche queste prove d'accusa».
Molto amareggiato è Roberto Centenaro, massimo dirigente di quel Pro Patria Club che è la realtà di supporter numericamente più rilevante:
«Purtroppo facciamo una fatica pazzesca a tenere la gente attaccata alla squadra e queste storiacce non fanno altro che invitare i meno accaniti a scappare, senza che si possa dar loro torto. C'è già chi mi ha manifestato la sua voglia di stracciare il biglietto appena acquistato per i playout».
Poi punge: «Dato che a Busto troppe volte c'è la tendenza a dare la colpa ai tifosi, speriamo che almeno in questo caso qualcuno non dica che le partite le abbiamo combinate noi. E comunque, in questo momento nel quale tutti danno giustamente addosso ai giocatori che si sarebbero macchiati di trucchi per far soldi, io vorrei anche riflettere sul fatto che loro sono solo gli ultimi anelli della catena, in cui la perdita di valori parte da una gestione delle società che non può essere considerata esemplare. Non parlo di casi specifici, faccio un ragionamento generale supportato da decine di casi in cui il marciume e gli impegni non
rispettati
spuntano
chiaramente. Sembra un mondo che va alla rovescia».
E la sentenza finale di Centenaro è desolante: «Se lo sport non è un modello, allora è inutile sorprendersi se ogni ambito della vita è costellato da scorrettezze e menefreghismo».
Pensiero condiviso da molti. Mentre fra i tifosi c'è anche chi, come Luigi Bocciarelli del Club Forza Tigri, resta senza parole: «In questo momento non voglio dire nulla. Il colpo è troppo forte».
Il magistrato: Neapolis e Pro Patria l'epicentro
"Partendo da Pietro Iannazzo, elemento di vertice dell’omonima cosca di Lamezia Terme, abbiamo intercettato dirigenti del Neapolis e da qui abbiamo esteso l'attenzione a tutta la Lega Pro".
Lo ha detto il procuratore della Dda di Catanzaro, Vincenzo Antonio Lombardo, che ha condotto l’inchiesta che ha portato all’operazione Dirty Soccer.
"Abbiamo scoperto così - ha aggiunto Lombardo - che si erano costituite due associazioni che avevano come obiettivo la frode sportiva, una faceva capo al Neapolis e l’altra alla Pro Patria, società attorno alle quali ruotava tutto il sistema".
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