LA SENTENZA
Vent’anni all’uxoricida
Delitto di via Ristori, risarcimenti a familiari e Comune
Uccise la moglie con una coltellata secca alla gola: il pomeriggio di ieri, mercoledì 13 settembre, Gjin Preducaj è stato condannato a venti anni di reclusione e a cospicui risarcimenti.
Un totale di 685mila euro ai parenti di Marjana Grishaj, variamente suddivisi, e 586mila euro al Comune di Gallarate in qualità di affidatario dei figli minori della coppia, più il rimborso delle spese processuali delle parti civili, che erano rappresentate dagli avvocati Barbara Chiaravalli e Tiberio Massironi. Interdizione inoltre della potestà genitoriali per tutta la durata della pena.
Il gup Giuseppe Limongelli ha escluso l’aggravante dei futili motivi ma è partito dai trent’anni richiesti dal pubblico ministero Nadia Calcaterra, diminuendoli per effetto della scelta del rito abbreviato. Rigettata la tesi proposta dal difensore Alberto Talamone sull’incapacità di intendere e di volere dell’imputato.
Proprio da lì, dalla richiesta di dichiarare la non punibilità per difetto mentale, è partita l’arringa dell’avvocato. A parere del difensore e del suo consulente Angelo Demori «quello di Marjana fu un delitto dettato dalla follia».
La follia di un momento, un momento di rabbia - come lo definì lo stesso Gjin - «che però non è mai riuscito a spiegare».
Secondo l’avvocato la gelosia non poteva essere chiamata in causa come movente.
«Il mio assistito è un uomo mite, potrà forse aver preso qualche multa o saltato qualche messa alla domenica, ma non ha mai conosciuto la violenza in tutta la sua vita. Ciò che lo ha portato a quel gesto è il senso di fallimento nato dall’impressione che la moglie lo volesse lasciare».
Quel che per l’avvocato Talamone è quindi una causa di drastica riduzione della capacità di intendere e di volere, per il pm Calcaterra e le parti civili sarebbe invece quel futile motivo che non è stato riconosciuto.
«Si è trattato di una reazione emotiva al desiderio di emancipazione della moglie che desiderava vivere una vita normale, senza dover giustificare ogni cosa. Per questo auspichiamo che la Procura impugni la sentenza proprio sul punto dei futili motivi», sottolinea l’avvocato Massironi.
TRAGEDIA SOTTO GLI OCCHI DEI FIGLI
Dal giorno del delitto - che avvenne nella notte tra l’8 e il 9 dicembre del 2015 - Preducaj non vede più i suoi figli perché così ha deciso il Tribunale dei minori. Perché ciò che emerge è che fu la bimba di appena undici anni a disarmare il papà, a togliergli dalle mani il coltello «comprato all’Esselunga» con cui aveva appena sgozzato la mamma.
La piccola, travolta dall’angoscia, lo ripose sotto il cuscino del divano, quasi a voler tutelare il padre che nel frattempo le diceva «Vai in camera, la mamma sta bene, è tutto a posto».
La bambina però era fin troppo consapevole di quel che era accaduto. Risvegliata dal grido di aiuto di Marjana, che dormiva nel lettone con il fratellino di tre anni, l’undicenne corse dalla donna e vide un fiume di sangue scorrerle dalla gola. Si precipitò in bagno, prese della carta e cercò di tamponare l’emorragia. Marjana spirò sotto i suoi occhi.
Nel frattempo il fratello le andò incontro frastornato, con il pigiamino insudiciato da chiazze rosse. La piccola allora cercò di cambiarlo e pulirlo. Fu lei ad aprire la porta ai soccorritori, mentre il padre giaceva sul divano con una ferita sul petto. Un tentativo di uccidersi, disse lui agli inquirenti, ma per l’accusa non ci sono dubbi: fu solo un gesto dimostrativo. Per Procura e parti civili il movente è la gelosia, seppur latente.
Il timore dell’abbandono, la sensazione che la moglie l’avrebbe lasciato. Quel giorno la donna era andata a vedere un appartamento che la coppia intendeva acquistare, ma non le era piaciuto. Per Gijn fu l’ennesimo segnale di allontanamento. Come è noto la famiglia si mise a tavola, cenò e giocò a carte. Marjana si coricò con il figlio minore, Gijn rimase a guardare la tv. Poco prima dell’una la donna si alzò per vedere dove fosse il marito: «Credevo fossi caduto dal balcone», osservò lei prima di tornare a letto.
Secondo l’avvocato Massironi fu quella frase a scatenare il raptus.
«Ma ciò che conta è che l’uomo sia stato riconosciuto pienamente capace di intendere e di volere», osserva alla luce della sentenza. Ma la sorella della donna ha l’amaro in bocca: di quei vent’anni di condanna potrebbero rimanerne molti meno.
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