VIA SCIESA
«Voleva uccidere Raffaella»
«Non era un principe azzurro, ma colui che l’ha resa invalida». Le motivazioni della condanna a dodici anni del fidanzato.
Marco Lenzi voleva uccidere Raffaella Scialpi. Lo ha voluto nel momento stesso in cui le ha mollato l’ultimo terribile ceffone che ha scaraventato la fidanzata oltre la balaustra del balcone.
Lo scrive chiaro nella sentenza Renata Peragallo, il presidente del collegio che il 2 marzo lo ha condannato a dodici anni di reclusione: «C’è la piena e cosciente volontà in Marco di provocare la caduta dal balcone del quinto piano di Raffaella, con la consapevolezza ulteriore che avrebbe causato o la morte o il gravissimo ferimento della ragazza. Perché dopo averla colpita con violenza e determinazione, ha omesso scientemente di prestarle soccorso». Ciò che accadde il 10 aprile del 2014 nell’appartamento di via Sciesa è emerso durante il dibattimento e ora è stato ricostruito nero su bianco dalle motivazioni della condanna depositate nei giorni scorsi. E soprattutto è ricostruito il lungo e doloroso travaglio interiore della vittima, che dopo giorni di coma inizia a ricordare i fatti. Dapprima negandoli, anche a se stessa, poi affrontandoli coraggiosamente.
Il presidente percorre la presa di coscienza di Raffaella attraverso le intercettazioni ambientali e le testimonianze di chi le è stata vicina e parla della «difficoltà ad accettare una realtà nella quale l’uomo del quale era innamorata e che credeva fosse il principe azzurro, fosse lo stesso che l’aveva resa per sempre invalida e che ne aveva sfigurato il volto». Una rielaborazione ostacolata dal pressing di Lenzi, sempre più accerchiato dall’esito delle indagini di commissariato e pubblico ministero Rosaria Stagnaro, culminato con l’arresto avvenuto l’11 giugno, due mesi dopo il defenestramento. Lenzi, che è rimasto al capezzale della ragazza fino al giorno in cui la polizia lo portò in carcere, cercò di influenzare le testimonianze della fidanzata, inducendola a sostenere la tesi della caduta accidentale («Lenzi ha costantemente cercato di far emergere i ricordi che lui le suggeriva»).
Fino al momento in cui Raffaella apre gli occhi, in tutti i sensi, scoprendo così che durante le visite, il fidanzato che le tratteggiava un matrimonio benedetto da figli, flirtava con una degente del reparto, vicina di stanza. Nelle motivazioni il presidente inserisce intercettazioni significative, captate durante i giorni del disinganno: «Ma guarda che io qua la dico la verità, l’ho già detta e la ridico». Quale verità? Che dal balcone la lanciò Lenzi. Quindi, riassume il giudice Peragallo, quel tardo pomeriggio di inizio primavera successe questo: «Marco, nel corso di una litigata causata da motivi di gelosia, colpì Raffaella con un violento schiaffo che la fece girare su stessa e sbalzare al di là della ringhiera del balcone alla quale la ragazza riusciva ad afferrarsi e a restare appesa per qualche secondo chiedendo, ma lui dopo aver detto “le merde cadono sempre in piedi” la lasciò precipitare». E ancora: «Nelle fasi concitate della lite, Lenzi chiuse la porta impedendole di fuggire», da qui - e non solo - si desume «la personalità violenta e menzognera dell’imputato, nonché i pregressi episodi di violenza».
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