LOTTA ALLA MAFIA
A Jerago il ricordo di Peppino Impastato
Il fratello Giovanni: «No a odio e rancore»

«Felicia e Peppino, madre e figlio contro la mafia» è un racconto che accompagna lo spettatore in una vera e propria biografia sulla lotta alla mafia. Una lotta combattuta con gli strumenti attraverso cui Peppino Impastato ha diffuso il suo messaggio contro le organizzazioni mafiose, tra cui la stampa e la radio, ma anche l’ecologia e l’ironia, l’arma principale che per la prima volta ha smitizzato e ferito la mafia, e il ruolo della mamma Felicia che ha scelto la giustizia, non per vendetta, perché odio e rancore «non portano da nessuna parte e se parliamo di Peppino, è perché rifiutiamo le logiche di odio», ha detto Giovanni Impastato. Questo è il tema di fondo dell’evento tenutosi al Castello di Jerago che ha accolto Giovanni Impastato, fratello di Peppino, e Maurizio Romanelli, procuratore capo di Lodi, accolti dal sindaco Emilio Aliverti, accompagnati nel vortice di temi della serata dal presidente di Volarte Italia, Adelio Airaghi, davanti ai numerosi presenti, tra cui i rappresentanti delle forze dell’ordine e di numerose amministrazioni comunali. Un vortice che parte dagli anni Sessanta quando la mafia abbandona le campagne e smette di essere agricola e diventa mafia urbana, puntando sul traffico internazionale di droga, la gestione degli appalti e del denaro pubblico e arriva ad oggi con l’excursus dell’impegno di Peppino e Felicia ad opera del fratello e figlio Giovanni. Ad arricchire la serata, l’esperienza del procuratore Romanelli che si è concentrato sugli uomini dello Stato uccisi da mafia e sull’odio maturato contro Peppino Impastato da parte della mafia, causato dall’ecologismo e soprattutto dall’ironia che secondo il procuratore portava il mafioso a sentirsi veramente «colpito nell’orgoglio e nella propria credibilità».
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