INFETTIVI
Aids, 800 in cura al Circolo
«Malati anche da 30 anni». Il professor Grossi: «I pazienti del 2016 quasi tutti italiani»

Agli Infettivi dell’ospedale di Circolo, vi sono pazienti che da anni prendono la loro terapia per l’Hiv. Escono dal reparto, vanno a lavorare come professionisti affermati e conducono una vita assolutamente “al di sopra di ogni sospetto”. E invece hanno l’Aids.
Ottocento persone in cura ogni anno, con terapie che ritirano ogni due mesi e con controlli ogni due-tre. «Eppure se la diagnosi è precoce la qualità di vita è buona, anzi sovrapponibile a quella di chi non ha contratto il virus, solo che queste diagnosi sono spesso tardive e allora la situazione cambia», dice il professor Paolo Grossi, infettivologo a capo del reparto dell’Asst Sette Laghi e consulente tra i massimi esperti mondiali per trapianti, anche “in ambito” Hiv.
«Poiché abbiamo pazienti che scoprono per tutt’altra ragione di essere sieropositivi, facendo controlli per svariate patologie, il consiglio è di sottoporsi al test se si hanno più partner». A prescindere dall’orientamento sessuale, una cosa è infatti certa: l’Hiv si prende tra le lenzuola e la droga non c’entra più nulla. A poche ore dalla Giornata mondiale contro l’Aids, i dati di chi si rivolge all’ospedale di Circolo non lasciano dubbi: età media sempre più bassa, maggiore fattore di rischio dichiarato, rapporti eterosessuali. «Negli ultimi mesi hanno scoperto di aver contratto il virus soprattutto ragazzi o poco più, tra i 20 e i 30 anni», dice il professor Grossi. Nel 2016 le nuove infezioni riscontrate sono diminuite rispetto all’anno precedente (14 contro 22) e, tranne la flessione degli ultimi mesi, l’età media è “alta”, 46,5 anni a fronte dei 38 del 2015. Solo tre le persone straniere positive, tutte femmine e 11 i pazienti italiani (10 uomini e una donna). Nel 2015, la metà delle nuove diagnosi aveva riguardato invece stranieri.
Tutti i pazienti si sono contagiati per via sessuale ed è equamente distribuito, nel 2016, il numero di contagiati eterosessuali e omosessuali (mentre nel 2015 la casistica di contagio tramite rapporto eterosessuale era il doppio di quella in sfera omosex).
Nel 2016, solo in un caso il test è stato eseguito per comportamenti a rischio, in tutti gli altri nell’ambito di accertamenti per altra malattia. «Un dato che deve fare riflettere - prosegue il professor Grossi - evidentemente chi ha comportamenti a rischio non pensa ci si possa ammalare, vale la teoria che l’Hiv è qualcosa che colpisce sempre gli altri». Da molti anni, i farmaci garantiscono la possibilità di una vita “normale”. «Nel 1987 la prima cura con farmaci antiretrovirali, ma la vera svolta è avvenuta nel ‘96 con la combinazione di più medicinali».
Qualche anno fa, un allarme era giunto da Varese e dagli infettivi, a causa dell’aumento di diagnosi condotte tra ragazzini, anche minorenni, che avevano contratto l’Hiv. «Un fenomeno che per fortuna oggi, a Varese, sembra ridotto se non del tutto sparito».
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