RESTAURI RARI
Al Sacro Monte abita l’antico mostro di Breno

Nel santuario di Santa Maria del Monte c’è un lucertolone, un mostro terribile, lungo sette cubiti (circa tre metri) e fa bella mostra di sé proprio all’ingresso. Più o meno con queste parole, soffermandosi dettagliatamente, lo descriveva nel 1739 Niccolò Sormani, stimato dottore dell’Ambrosiana, nelle pagine della prima guida dedicata al santuario del Sacro Monte. Ammirato con una punta di terrore dai tanti pellegrini che salivano al santuario, l’animale era già dunque famoso. Con il tempo il coccodrillo del Sacro Monte ha perso la sua visibilità, ma non la fama. Dal mese di marzo però è tornato, più bello che mai e in tutto il suo splendore, come uno dei protagonisti al museo Baroffio.
Ma andiamo per gradi: com’è possibile che un coccodrillo sia finito in quel di Varese? A raccontarci la storia è Laura Marazzi conservatore del Museo Baroffio e che venerdì 29 alle ore 21 terrà una conferenza nell’ambito di «Restauri Rari», ciclo di incontri organizzati da Agostino Alloro, a Cairate (nel salone al primo piano in piazza Donatori del sangue con ingresso da via Pontida).
Qual è la storia del coccodrillo?
«La leggenda vuole che il coccodrillo dalle acque del fiume Nilo in Egitto arrivò nel parco di un nobile che abitava sulle sponde del lago di Lugano. Molto probabilmente tenuto in una gabbia in una sorta di zoo, il nobile signore lo utilizzava per stupire gli amici. Un bel giorno il coccodrillo scappò e si rifugiò sulla montagna. Attraverso i boschi raggiunse Breno, paesino del Malcantone nell’odierna Svizzera. Lì si dice seminasse terrore tra uomini e animali finché un giorno un giovane non si decise ad ucciderlo: si votò alla Madonna del Monte venerata nel santuario varesino, e riuscì nell’impresa. La comunità di Breno giunse al santuario per portare alla Madonna le spoglie del coccodrillo che diventarono così un ex voto».
Storicamente cosa c’entra il Malcantone con il Sacro Monte?
«Il giovane, nel Settecento, si votò alla Madonna di Santa Maria del Monte perché quello era il santuario mariano di riferimento. Il direttore del museo del Malcantone Bernardino Croci Masperi ha addirittura trovato attestazioni di pellegrinaggi da quelle zone e non solo risalenti al dodicesimo secolo. L’arrivo del coccodrillo dunque si inserisce perfettamente nel legame tra la zona e il santuario».
Come mai un ex voto così per la Madonna?
«In Italia sono una cinquantina i santuari legati alla Madonna in cui sono presenti, ancor oggi, coccodrilli impagliati, imbalsamati e addirittura legati alle volte (famoso quello di Mnatova), e che sono visibili ai pellegrini e ai devoti. Il coccodrillo rappresenta da un lato il maligno, l’elemento diabolico, ma più in senso lato il male che può essere vinto. Un po’ come San Giorgio sconfigge il drago, il giovane di Breno riesce in questa impresa disperata. È un po’ come dire che non c’è male, per quanto terribile e feroce, che non possa essere sconfitto al di là di ogni speranza».
In che condizioni erano le spoglie dell’animale?
«Prima del recupero i pezzi si trovavano ammassati in una teca di vetro. Quando abbiamo riaperto il museo dopo l’ultimo restauro nel 2001, il coccodrillo era davvero impresentabile. Guardando i suoi resti bisognava giocare con l’immaginazione per vederci un coccodrillo. L’animale è sempre stato esposto al pubblico: prima nel santuario vicino all’ingresso laterale nel corridoio di accesso sottoposto a sbalzi di temperatura e all’umido, mentre nel vecchio museo era esposto davanti a una finestra da cui filtrava molta luce. Tutto questo ha ovviamente rovinato i resti».
Il restauro è tutto italiano, mentre i finanziamento arrivati dalla Svizzera.
«Da parte svizzera sono sempre state tante le richieste per vedere il coccodrillo. Nell’estate del 2014 ho pensato di esporre temporaneamente la teca anche perché avevo trovato nel frattempo un tassidermista disponibile a fare al restauro, Paolo Moro che sarà con me nella conferenza del 29 aprile. Nel giro di poco tempo la Pro Breno, la Fondazione Malcantone, gli Amici del museo del Malcantone e alcuni privati, hanno trovato i fondi e siamo partiti con le richieste di permessi».
Come si è proceduto?
«Il coccodrillo è stato trattato esattamente come un dipinto: quello che si poteva salvare, lo si è salvato, quello che non c’è più non è stato inventato. Pur avendo molta esperienza con i coccodrilli, il tassidermista Moro non aveva mai lavorato su un esemplare così vecchio: le difficoltà sono state tante, ma sono state superate. Il restauro è stato anche un momento di indagine e scoperte: abbiamo ad esempio verificato che la prima attestazione che parlava di circa tre metri di lunghezza (sette cubiti) collimava con le nostre dimensioni e che era effettivamente un esemplare del Nilo. Inoltre il tassidermista ha trovato vicino all’orbita oculare destra un foro che attesta che l’animale non è morto per cause naturali o vecchiaia, ma è stato ucciso come dice la tradizione».
Dove si trova oggi il coccodrillo?
«L’animale ha ora una piccola sala tutta per sé con pannelli esplicativi e si trova al termine del percorso espositivo, come ultima curiosità. Molti visitatori non si aspettano di trovarselo davanti e rimangono affascinati e sorpresi, mentre i ticinesi vengono apposta per lui e sono molto preparati. Alcuni aggiungono anche dettagli nuovi alla leggenda: si dice che il coccodrillo gridasse molto forte e le grida spaventassero le donne che avevano appena partorito tanto da far perdere loro il latte e poi che facesse scappare gli animali che, terrorizzati, cadevano nei burroni».
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