DECENNALE
Albino Reggiori e le guglie dello spirito

La terra varesina si appresta a ricordare, a dieci anni dalla scomparsa, un artista che ha goduto di grandi consensi critici e popolari. Per chi ha potuto conoscerlo direttamente o tramite le sue opere, Albino Reggiori è ancora una presenza indelebile nell’articolata storia della ceramica, nato nel 1933 a Laveno Mombello, dove è morto nel 2006. L’aggettivo «popolare» non deve trarre in inganno: la sua è sempre stata una ricerca di alto livello, ma l’uomo era talmente schietto e modesto che riusciva con le sue opere a comunicare anche a quanti non erano intenditori del settore.
Pienamente cosciente dei valori umani che trasmetteva, sapeva enunciarli con semplicità ed immediatezza, qualità che nei suoi lavori si trasformavano in bellezza. Per conoscere compiutamente Albino «uomo ed artista» ci siamo rivolti alla figlia Angela, pure lei incisore e ceramista di personalità, che dopo essersi diplomata a Brera ha lavorato in studio con il padre.
Angela, com’era l’artista Albino Reggiori: era geloso del suo lavoro e dei suoi successi, oppure rendeva partecipe la famiglia?
«Per mio padre la famiglia è sempre sta la priorità della sua vita. L’arte era la necessità di esprimere il suo modo di essere e di evidenziare la sua umanità, ma non ha mai rappresentato motivo di disunione e di estraniamento dalla vita familiare.
Albino condivideva con noi ogni momento della sua arte, sia per quanto riguardava le soddisfazioni, sia per le delusioni e le preoccupazioni. Era un perfetto padre di famiglia, che sapeva vivere in armonia con tutti i componenti. Sempre presente, sin da quando si sono conosciuti, anche mia madre Flora, che gli ha sempre dato saggi consigli, senza mai interferire nella sua sfera professionale. Albino non è mai stato geloso del suo lavoro e del suo sapere, anche nei confronti di colleghi che gli chiedevano consigli. Questa, credo sia stata una delle grandi qualità umane di mio padre».
Cosa aveva in comune l’artista con l’uomo?
«Albino era sempre se stesso, l’uomo e l’artista formavano un tutt’uno. Ha sempre cercato di andare a fondo sia nella quotidianità che nella creatività. Del resto, la sua stessa fede era una incessante ricerca interiore che andava oltre l’esteriorità dei gesti, affrontando la vita con coraggio e partecipazione».
Lei ha curato con il fratello Alberto il catalogo, molto completo, su suo padre. Ricostruendo il suo percorso ha trovato qualche aspetto sinora poco conosciuto?
«Albino ha lavorato molto e ci sono aspetti della sua vicenda che sono ancora poco conosciuti. Negli anni Sessanta e Settanta ha dedicato gran parte del suo lavoro alle incisioni. La tecnica l’aveva appresa da Marco Costantini, che mio padre aveva conosciuto alla fabbrica Verbano di Laveno. Poi, maturato un proprio stile anche in questo settore aveva promosso mostre a Varese, Milano, Venezia, Livorno ed in altre città». Da ricordare il volume Mombello nostalgia di un paese con una serie di acqueforti del luogo natio e testi dialettali di suo padre Attilio. Diversi i soggetti interpretati nel tempo: emarginati, fanciulli, visi di donna e bambini».
Suo padre fu anche direttore del Museo della Ceramica di Cerro di Laveno.
«Sì, questo è un aspetto che emerge nella mostra: il prezioso lavoro dedicato al museo della Ceramica di Cerro dal 1983 al 1995, un lavoro appassionato e competente riconosciuto da tutti. Fra i tanti cito Gian Carlo Bojani, ai tempi direttore del Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza, ed Enzo Biffi Gentili, oggi direttore del Miaao, il Museo internazionale arti applicate di Torino».
Uno dei soggetti più rappresentati da suo padre sono state le cattedrali. Perché?
«Albino mi raccontava che sua madre Angela era nata ad Epinal, nel Sud della Francia, da genitori italiani e che la sera, prima che lui si addormentasse, gli raccontava la storia dei costruttori di cattedrali. Poi, nel 1960, quando era andato a Roma a ritirare un premio per la pittura, aveva trovato su una bancarella un libretto dal titolo I costruttori di cattedrali (Jean Gimpel, Mondadori). Da lì, probabilmente, le radici delle sue cattedrali gotiche. Con le facciate delle cattedrali, cuore pulsante della sua arte, mio padre è andato oltre la raffigurazione di sterili muri, è sceso in profondità, ha voluto capire le ragioni che hanno spinto i costruttori ad edificare quei possenti edifici. Mio padre ha poi rielaborato di continuo quel pensiero tramite la pittura, la ceramica e la grafica».
E le urne?
«In quanto alle urne, le prime realizzate nel 1981 sono state Tabernacolo Chiuso e Urna nera. Sono opere nate in concomitanza con la morte di suo padre. Credo che siano ricollegabili ad un messaggio trascendentale e di intima consapevolezza e speranza».
Sette mostre per «Le guglie dello spirito»
Al Midec di Cerro di Laveno Mombello è allestita un’ampia retrospettiva delle ceramiche in programma, così come tutte le altre, fino al 31 luglio, con i seguenti orari: martedì 10-12.30; mercoledì, giovedì, venerdì 10-12.30 e 14.30-17.30; sabato e domenica 10-12.30 e 15-18.
sposte pure al Museo Civico Floriano Bodini di Gemonio (via Marsala 11), aperto sabato e la domenica ore 10.30-12.30 e 15.30-17.30.
Al Museo Salvini di Cocquio Trevisago (Contrada Salvini, 5) è invece allestita una esposizione dei dipinti che si visita sabato e domenica ore 10.30-12.30 e 15.30-17.30.
Lo Studio Almiarte di Gemonio, in via Verdi 23, ospita la sezione grafica, da mercoledì a domenica ore 10.30-12.30 e 15.30-19.
Un altro gruppo di opere grafiche è al Teatro Soms di Caldana di Cocquio Trevisago (via Malgarini 3), sabato e domenica 17.30-19.30.
La Sangalleria di Arcumeggia (vicolo Malcotti) espone invece una collezione privata di opere dell’artista, sabato e domenica ore 10-12 e 15-18.
Infine, si possono ammirare opere giovanili dell’artista alla Biblioteca comunale di Laveno Mombello «Antonia Pozzi», via Roma 16/a, lunedì e giovedì ore 8-18, martedì, mercoledì, venerdì e sabato 8-14.
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