LA STORIA
Albizzate, il ritorno della bimba di Chernobyl
Polina, in fuga dalla guerra, riaccolta dalla stessa famiglia diciotto anni dopo
Li chiamavano “i bambini di Chernobyl” e anno dopo anno quella definizione non cambiava, come un codice genetico perpetuato di generazione in generazione. Venivano in Italia a ossigenarsi, per quanto fosse possibile disinnescare con un soggiorno climatico i micidiali effetti dell’esplosione avvenuta il 26 aprile 1986 nella centrale nucleare Vladimir Il'ič Lenin della Repubblica Socialista Sovietica Ucraina, allora si chiamava così.
POLINA E I DISEGNI
Fra i “bambini di Chernobyl” accolti in molti comuni della provincia di Varese nel 2004 c’era Polina Boichuck, 10 anni, però lei non era come tutto il resto dell’allegra comitiva arrivata dall’Est. Per esempio, aderiva malvolentieri alle gite organizzate dall’oratorio: lei preferiva stare con la sua famiglia ospitante ad Albizzate e disegnare, dalla mattina alla sera. Diciotto anni dopo Polina non è cambiata: il disegno, l’arte in tutte le sue sfaccettature, è la sua ragione di vita professionale. E quando la signora Rosa Lombardo ha aperto il portone di casa, il 6 aprile scorso, è stato come se l’avesse incontrata il giorno prima.
L’EMOZIONE DI ROSA
«Era identica alla bambina che vedevo sempre china su un foglio a disegnare con le matite colorate. Gli stessi occhi, i lunghi capelli neri. E poi lo stesso carattere, un po’ ombroso, risoluto. Aveva soltanto 10 anni ma non era facile farle cambiare idea», ricorda ora Rosa: «Rivederla dopo così tanto tempo è stata per me un’emozione forte».
LE FUGHE
Questa è la storia di una ragazza di Kiev e di due tragedie che hanno segnato la sua vita fin qui. A 28 anni Polina Boichuck ha infatti già vissuto due volte l’esperienza lacerante di dovere scappare da un nemico implacabile: prima dalla nube radioattiva generata dal reattore 4 di Chernobyl e ora dalla guerra che sta devastando l’Ucraina. Così il copione (della solidarietà) si è ripetuto. La famiglia albizzatese che l’aveva ospitata per un mese, affezionandosi a lei, diciotto anni dopo le ha fatto un invito perentorio: «Non restare lì a rischiare la vita, vieni da noi». Polina ha informato la madre Valentina e il giorno dopo hanno deciso di preparare i bagagli. Per entrambe. Sono salite su un pullman a Kiev facendo tappa in Polonia, in Germania e infine nella villetta in cui risiedono Rosa e il marito Vincenzo La Monica, falegname in pensione. È lui, tesoriere della onlus Apri.A di Albizzate, che durante i suoi viaggi umanitari in Ucraina incontrava ogni tanto la famiglia Boichuck.
L’ACCOGLIENZA
«Polina l’ho vista crescere», racconta ora il volontario, «mi sembrava il minimo accoglierla a casa nostra in un momento così drammatico». Il primo menù? Olive e pasta al pesto, di cui era golosissima. «Mangiava solo olive», ricordano i “parenti” italiani.
A Kiev sono rimasti il padre e la nonna della ragazza, oltre alla sua cerchia di affetti e conoscenze. «Alcune amiche sono riuscite a uscire dall’Ucraina ma i maschi non possono perché devono essere pronti a combattere», spiega l’artista: «Con alcune persone sono in contatto ogni giorno, per telefono o su Whatsapp, e anche se ora io sono al sicuro non riesco a non soffrire assieme a loro. Intendiamoci, sono felice di stare qui ma da due mesi il mio pensiero è altrove. Penso al mio Paese distrutto».
LE IDEE CHIARE
La ventiseienne ha le idee chiarissime su chi siano aggrediti (gli ucraini) e aggressori (i russi), eppure durante l’intervista con Prealpinanon pronuncia mai una parola fuori posto, come sottolinea in “diretta telefonica” l’interprete Maria Kryzhanvska, 48 anni, fuggita in auto dall’Ucraina con i figli e che in queste settimane aiuta i connazionali ospitati nel Varesotto a farsi capire, dato che parla un italiano migliore di certi italiani. «Anch’io sto cercando di frenare il mio odio», aggiunge lei subito dopo aver tradotto la risposta di Polina alla domanda su quali sentimenti abbia scatenato dentro di sé questa guerra. Risposta che è quasi un concetto filosofico: «Difficile focalizzare, ci si sente persi. Talvolta mi capita di perdere la testa, anche solo per pochi secondi. Ma non voglio essere piena di odio», chiarisce, «perché questa è un’emozione che rovina ogni possibilità di trovare una via d’uscita. Di sicuro non c’è logica in quello che sta accadendo in Ucraina e siamo soprattutto noi giovani a non capire perché nel ventunesimo secolo la guerra venga ancora ritenuta un mezzo per far valere le proprie ragioni».
IL TABU’ DELLA LINGUA
Polina non conosce una parola d’italiano e per ora resiste alle pressioni di Rosa e Vincenzo affinché frequenti un corso per rendersi autonoma, ma forse è tutta una questione psicologica. «L’Italia mi ricorda la mia infanzia, quando vedevo tutto rosa», racconta la giovane: «Qui ho trascorso molti momenti felici e anche ora io e mia madre ci sentiamo coccolate e amate, siamo considerate parte della famiglia. Però entrambe abbiamo il sogno di tornare in Ucraina, se non subito almeno quando sarà liberata. Io credo fermamente nell’unità del mio popolo per uscire da questa guerra crudele, così come dovremo unire le forze per ricostruire tutto».
È anche questa la ragione per cui la signorina Boichuck, figlia unica, dice di non avere «le idee chiare» su un suo futuro lavorativo in Italia. La testa è sempre lì, sul fronte Est. «È una situazione frustrante, non riesco a pianificare. In Ucraina ho studiato arte e design all’Accademia nazionale e un giorno spero di potere essere utile al mio Paese proprio grazie al mio lavoro creativo. È questo il mio secondo sogno».
MAMMA VALENTINA
Mentre la figlia parla, mamma Valentina, 55 anni, rigira fra le mani alcuni disegni colorati e in bianco e nero che Vincenzo La Monica ha portato con sé: risalgono al 2004 e sono firmati “Polin”, con una grande “P”. Un cane, un ritratto, fiori e figure astratte. Impossibile che siano opera di una decenne, una “bambina di Chernobyl” giunta a ritemprarsi in terra prealpina. Ma l’artigiano albizzatese, che ha conservato i fogli in una cartelletta per tutti questi anni, conferma: «Tutto disegnato da lei. Era un genietto...».
Polina abbassa lo sguardo imbarazzata, la madre invece si esalta: «È una brava artista, piena di entusiasmo e creatività. Non è stato facile decidere di partire ma l’ho fatto per stare accanto a lei, per darle coraggio anche a proseguire il suo percorso professionale». Digitando sul web si trovano le immagini di parecchi quadri, disegni e allestimenti, anche la foto di una modella che indossa un abito realizzato con un tessuto da lei disegnato e per il quale è stata premiata. È un insieme di sfumature fra grigio e nero, i suoi colori preferiti. Ma se ora dovesse rappresentare la guerra Polina sceglierebbe il nero e il bianco, senza mezze misure: «Il nero rappresenta l’abisso umano. Il bianco è la speranza, una pagina tutta da scrivere». Quella vita in cui vedeva tutto rosa, quand’era una “bambina di Chernobyl”, è solo un bel ricordo.
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