EFFETTO KUNTA KINTE
Alle Radici di una Nazione

Alle 20 e 40 di venerdì 8 settembre 1978 andò in onda su Rai 2 la prima puntata di “uno sceneggiato “da non perdere”, come raccomandava la copertina di «Tv Sorrisi e Canzoni» di quella settimana.
Si intitolava Radici, e narrava la storia di Kunta Kinte, un giovane guerriero Mandinka catturato nel 1767 in Gambia e deportato in schiavitù nelle piantagioni di cotone in America.
Nelle otto settimane successive la saga di Kunta e della sua famiglia – dalla figlia Kizzy al nipote “Gallo George” – alla riconquista della libertà inchiodò davanti agli schermi 21 milioni di italiani, quasi uno su due.
Un trionfo: Radici fu la serie più vista del 1978. Come in America, del resto: l’anno prima, sul canale ABC, aveva registrato 130 milioni di telespettatori. Anche qui, quasi un americano su due. Eppure, in realtà, negli Stati Uniti non tutti ci avevano scommesso. Si sa, in quegli anni – sulla scia di Martin Luther King e delle Black Panthers – la questione razziale era terribilmente seria. E la stessa ABC era stata molto titubante: aveva investito ben 6 milioni di dollari per la produzione, ma considerava l’impresa rischiosa sia politicamente sia in termini di audience.
Non per caso l’aveva trasmessa solo in tarda serata, e per otto sere consecutive: “via il dente, via il dolore”, si potrebbe dire. Del resto, sugli schermi la minoranza di colore era stata raccontata raramente e in tutt’altro modo: già dal 1975 andavano in onda i Jeffersons, che facevano anche riflettere gli spettatori, ma con ironia e tra una risata e un’altra, per fare un solo esempio.
Radici, allora, rappresentava una rivoluzione: per la prima volta la Tv sbatteva in faccia agli americani – e al mondo occidentale che vedeva negli States il simbolo della “libertà” – il peccato originale della Nazione: la schiavitù dal punto di vista degli schiavi stessi.
Una storia di violenza, linciaggi, stupri e umiliazioni: altro che i personaggi alla “Mamy” di Via col Vento, quasi appagati e accuditi dal padrone benevolo e paternalista.
Ma, soprattutto, la serie si basava sul libro di Alex Haley, un ricercatore già noto per aver pubblicato l’ Autobiografia di Malcolm X.
Radici aveva subito venduto venti milioni di copie e, sosteneva Haley, era il risultato non solo dei racconti di sua nonna, ma di “anni di ricerche intensive in circa cinquanta biblioteche, archivi e depositi di tre continenti”. Insomma, era una storia vera.
Tuttavia qualcosa non tornava. Ben presto infatti Haley fu accusato di aver inventato gran parte dei fatti e addirittura condannato per plagio: aveva copiato molti passi di un altro volume, The African di Harold Courlander. E anche storicamente la vicenda era intrisa di luoghi comuni e pregiudizi.
Per citarne soltanto uno, a differenza di quanto raccontavano la serie e il libro, i bianchi non si addentravano in mezzo alle foreste e non catturavano direttamente gli africani. Quasi sempre gli europei, infatti, compravano gli schiavi sulle coste da venditori africani in base a precisi accordi, e allora Kunta – come milioni di altri – sarebbe dovuto essere vittima di una tratta schiavistica interna, catturato e venduto da altre tribù nemiche. Insomma, alla fine la verità emerse: Kunta e tutti gli altri erano solo personaggi di un romanzo, non gli antenati di Haley. Nulla di più.
Ma anche nulla di meno, però. Perché – per quanto inventata – la serie ebbe un impatto culturale dirompente, stimolò discussioni sui rapporti tra le razze e sulla stessa storia, molto meno eroica, della società americana: temi scabrosi fino a quel momento.
Così, Radiciriuscì a rappresentare la biografia di tutti gli afro-americani, il simbolo dell’emancipazione degli schiavi.
Anzi. Mai uno spettacolo aveva provocato tanto clamore, si disse allora: l’America non era “solo bianca”, anche “altri” l’avevano costruita, attraverso quel drammatico percorso.
Secondo le cronache dell’epoca, dopo le prime puntate nelle fabbriche di automobili di Detroit gli operai bianchi non osavano parlare con gli operai neri: erano troppo imbarazzati e si sentivano in colpa.
Radici era un falso, ma aveva colpito nel segno.
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