IL CASO
Varese, maltrattamenti all’Anaconda: l’educatrice confessa e fa una donazione
Depositata la sentenza di patteggiamento

Il «pieno riconoscimento degli addebiti in fase di indagine», unito alla «interruzione dei rapporti» con l’Anaconda e al «versamento di una somma a titolo di simbolico ristoro, a favore di una Onlus che svolge attività di assistenza» ai disabili, è valso il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche all’educatrice del centro diurno di via Rainoldi che ha scelto il patteggiamento. Circostanze concesse anche al suo collega per «il ruolo più marginale assunto nella complessiva vicenda illecita e per il comportamento successivo ai reati».
LA PENA
Parole del giudice per le indagini preliminari Giuseppe Battarino nella sentenza depositata in cancelleria in questi giorni. Sentenza con cui applica alla prima la pena di due anni di reclusione, al secondo di un anno e quattro mesi, per il reato di maltrattamenti; in entrambi i casi con sospensione condizionale e non menzione.
Una decisione che è arrivata lo stesso giorno in cui lo stesso giudice ha “azzerato” - questa volta in funzione di gup - il processo alle altre cinque educatrici, accogliendo le eccezioni dei difensori, dichiarando la nullità dell’avviso di conclusione indagini e restituendo gli atti alla procura. Il magistrato ha infatti riconosciuto che la pubblica accusa ha precluso ai legali e ai loro consulenti l’accesso agli atti, soprattutto per quanto riguarda le intercettazioni, limitando così il diritto di difesa. Una questione che non ha riguardato gli altri due dipendenti dell’Anaconda, la cui scelta processuale risale ancora alla fase delle indagini.
IL PATTEGGIAMENTO
Dalla sentenza di patteggiamento emerge adesso la circostanza che l’educatrice, difesa dall’avvocato Agostino Bellucci del Foro di Salerno, nell’interrogatorio successivo all’emissione della misura cautelare del divieto di avvicinamento alle persone offese, ha ammesso le proprie responsabilità, con parole di pentimento per gli “eccessi” ripresi dalle telecamere nascoste installate dai carabinieri. La procura contestava infatti - a lei come al suo collega maschio (assistito dall’avvocato Mario Brusa) e alle altre indagate - “strattonamenti e percosse” ai danni di bambini e ragazzi disabili.
LE INTERCETTAZIONI
«Condotte illecite - scrive ancora il gip spiegando i motivi della decisione - ampiamente documentate dalle fonti dichiarative e da quelle captative, consistenti in intercettazioni ambientali autorizzate ed eseguite all’interno della struttura in cui gli imputati operavano».
Proprio quelle intercettazioni che secondo i difensori degli altri indagati non sono state messe integralmente a disposizione dei legali, che chiedevano di poter visionare tutti i video e non soltanto alcuni spezzoni che potrebbero essere interpretati in modo sbagliato perché non analizzati nel contesto complessivo.
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