LA DIATRIBA
Un parroco senza chiesa
Don Emanuele non accetta il trasferimento a Como. Braccio di ferro col vescovo che domenica dirà messa a Castello Cabiaglio

Tre parrocchie, una comunità pastorale, un solo parroco. Normale, in tempi di crisi vocazionali. Meno consueto che prete e vescovo ingaggino un lungo braccio di ferro risolto con il recente trasferimento del diacono e l’esclusione da qualsiasi parrocchia.
Don Emanuele Borroni (45 anni, nato a Busto Arsizio, sacerdote dal 2001, parroco qui dal 2009) si trova ora a casa dei genitori in Valmarchirolo.
Azzio, Orino, Comacchio sono comunità di poche centinaia di abitanti unite dalla geografia, divise dal campanile. Nulla di nuovo, certo: accade qui come altrove. Prova ne è che in tutta la Valcuvia, quando è stata avanzata l’ipotesi di una fusione tra Comuni confinanti per abbattere i costi pubblici, sono bastate poche battute per convincere i sindaci a lasciar perdere.
Per il resto, «il posto è piccolo, la gente mormora»: a chiedere in giro nessuno sa niente circa la vicenda di don Emanuele, anche se a qualcuno scappa detto che «la convivenza fra le tre parrocchie non è mai stata semplice» e che «il don ha la testa dura e ne ha fatto le spese».
Vox populi, vox Dei?
Non solo i fedeli ma persino i preti della zona (il loro silenzio è d’oro) sembra si siano schierati in due fazioni e avrebbero addirittura chiesto «qualcosa in più» del solo trasloco in altra parrocchia. Sapere altro è arduo, ma spunta la lettera che un folto gruppo di parrocchiani, oltre duecento, ha scritto al vescovo monsignor Oscar Cantoni (siamo in Diocesi lariana) per chiedere chiarimenti circa il trasferimento del loro parroco, decisione presa in base ai canoni dal 1740 al 1747 del diritto canonico che si riferiscono a un parroco che «per qualche causa risulti dannoso o almeno inefficace».
C’è anche il canone 1741, che al punto 2 parla di «inettitudine o infermità permanente della mente o del corpo». Ma alla lettera, a quanto è dato sapere, non è mai stata fatta seguire risposta, così come a bocca asciutta pare sia rimasta una delegazione di fedeli ricevuta dallo stesso monsignore nella sua sede in Como.
Non è difficile capire come tale mancanza di chiarezza sia all’origine di tanti «si dice» che circolano in questi giorni. Carattere deciso, omelie senza peli sulla lingua, liturgia in latino nelle feste maggiori, gran lavoratore (viene in mente il don Camillo di guareschiana memoria), per un anno intero - l’ordine vescovile è dell’8 marzo 2020 - don Emanuele non avrebbe accettato il declassamento a semplice «collaboratore presso la Comunità pastorale delle parrocchie di San Giorgio e San Salvatore in Como», come si legge sul sito della Diocesi.
Allo stesso modo, pare che il vescovo abbia rifiutato la proposta del sacerdote di accettare un trasferimento, ma come parroco, in quel di Lugano. Altro Stato, altra Diocesi.
«Cosa fatta, capo ha»: la comunità è affidata al vicario foraneo don Silvio Bernasconi e come stanno veramente le cose, lo sanno in pochi.
Nel frattempo, domenica prossima, 25 aprile, il vescovo Cantoni celebrerà la messa delle ore 11 nella chiesa parrocchiale di Sant’Appiano, a Castello Cabiaglio.
Si tratta di una visita che giunge a sorpresa anche per gli stessi parrocchiani, spiegata dal parroco don Enrico Molteni con ragioni pastorali legate al «desiderio del nostro vescovo di conoscere meglio la realtà del paese».
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