IN APPELLO
Moglie chiusa nella cabina armadio
Confermata la pena di un anno e quattro mesi (con la condizionale) per il marito violento

Tutto in poco meno di un anno. Le nozze, la nascita di una figlia e la separazione a tempo di record della coppia, con annessa però denuncia per maltrattamenti della giovane moglie nei confronti tanto del marito, all’epoca ventottenne, quanto anche della suocera.
A quasi nove anni dai fatti, avvenuti a Besano, l’ormai ex marito, varesino originario della Sicilia, si è visto confermare anche dai giudici della prima Corte d’Appello di Milano la sentenza di condanna a un anno e quattro mesi di reclusione in precedenza emessa dal Tribunale di Varese. Una condanna sospesa dalla concessione della condizionale alla luce dello stato di incensuratezza dell’imputato. Per la cronaca, il verdetto di primo grado aveva invece già definito la posizione della madre dell’imputato, prosciogliendola in quanto la donna, classe 1960, si sarebbe limitata a manifestare la propria antipatia verso la nuora, senza mai andare oltre.
Le carte processuali descrivono come il rapporto di coppia, sin da subito, avesse preso una pessima piega. Sarà che la gravidanza, scoperta poco dopo essersi conosciuti, ha reso la situazione stressante, sta di fatto che non appena i due sono andati a vivere assieme l’imputato non ha perso occasione per prendere di mira la poveretta. Dagli insulti e le ingiurie alle botte il passaggio è stato decisamente molto rapido. La donna ne ha passate di ogni. Dalla volta che fu chiusa per punizione dentro la cabina armadio della camera da letto a quella che, per quanto incinta, fu costretta a scendere dall’auto dal marito, per poi essere lasciata da sola in mezzo al nulla; a quella che, con la bambina in braccio, si vide minacciare col coltello. Non si contano le volte in cui il marito l’ha lasciata di proposito fuori casa e le ha negato i soldi per fare la spesa.
Il primo giudice ha fatto riferimento a «reiterati atti vessatori, di disprezzo e di umiliazione», rimarcando come la parte offesa «si trovasse in uno stato di tale soggezione da non recarsi nemmeno in pronto soccorso per ricevere le cure necessarie in conseguenza delle percosse subite».
La goccia che ha fatto traboccare il vaso? L’ultima aggressione avvenuta all’esterno di una discoteca dove la coppia era andata in compagnia di amici. Dopo quell’episodio, la donna non ha voluto più saperne e ha lasciato il tetto coniugale con la neonata trovando rifugio dai genitori. Genitori che già in altre occasioni l’avevano accolta per salvarla dal compagno violento. Uno di quegli uomini capaci di dire frasi come queste: «Come ho fatto una famiglia, così la distruggo ammazzando te».
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