L’INTERVISTA ESCUSIVA
«Binda un killer? Non posso crederlo»
Delitto Macchi: intervista al sacerdote varesino don Giuseppe Sotgiu. All’epoca della morte di Lidia era amico dell’arrestato

TORINO Continua a essere convinto che Stefano Binda sia innocente, don Giuseppe Sotgiu. Colui che viene indicato dagli inquirenti come «amico fraterno» di Binda, almeno nell’87, quando venne uccisa Lidia Macchi, da Torino, dove svolge la sua missione pastorale, ribadisce la sua convinzione: «Non ho in mano gli elementi degli inquirenti, però conosco Stefano e non credo che possa aver fatto una cosa del genere, poi a quell’età, faceva l’ultimo anno di liceo, mi sembra una cosa assurda».
Dice, don Sotgiu, che «se poi tengo presente gli indizi che vengono prodotti pubblicamente e almeno ufficialmente mi sembra una cosa incredibile».
Don Giuseppe, ordinato prete nel ’94, sostiene che quando «ha saputo dell’arresto di Stefano, il 15 gennaio scorso», è «rimasto basito, sinceramente». La sua convinzione dell’innocenza di Binda nasce «dalla conoscenza della persone, io l’ho conosciuto allora, Stefano e anche dopo, e non posso credere che abbia compiuto ciò di cui è accusato. Se poi ha avuto un raptus io non posso saperlo o affermarlo, ma proprio non credo...».
Don Giuseppe Sotgiu è stato riascoltato anche durante l’incidente probatorio che si è svolto il 15 febbraio scorso, davanti al gip Anna Giorgetti. In quell’occasione sono state “cristallizzate” le deposizioni di sei supertesti, tra cui don Fabio Baroncini, Patrizia Bianchi, Paola Bonari. Nelle ore successive si era diffusa la notizia di una sua iscrizione nel registro degli indagati, ma don Giuseppe sostiene: «Io non ho ricevuto nulla, non ho ancora ricevuto la notifica di una mia iscrizione nel registro degli indagati per una mia supposta reticenza, ma mi hanno fatto domande molto circostanziate, se non ricordo non ricordo».
Don Giuseppe sostiene di non avere incontrato Stefano Binda negli ultimi anni.
«Direi almeno da quindici, poiché da Milano sono andato via nel ‘90, quindi sono stato a Roma fino al ‘93 e poi a Torino».
Quindi «non credo di averlo più incontrato, forse l’ho intravisto qualche altra volta e poi no, non mi ha mai più contattato, non credo avesse nemmeno il mio cellulare».
Di Stefano Binda dice che è un uomo che «praticamente non si è mai spostato da Brebbia, ha sempre vissuto lì, è menomato e non ha soldi e di certo non avrebbe potuto reiterare il reato del quale è accusato».
Di recente, i due ex amici non si sono più incontrati, dice don Giuseppe, nemmeno in occasione della festa per l’ordinazione episcopale di Piergiorgio Bertoldi, avvenuta a Brebbia la scorsa estate «a fine giugno » (in occasione della ricorrenza di San Pietro e Paolo).
«In quell’occasione io non andai, ma molti amici dell’epoca si ritrovarono insieme, per caso dunque, non credo vi fosse un disegno di Stefano per contattare alcune persone che frequentava all’epoca della morte di Lidia».
A casa della famiglia Bertoldi, la sera del 5 gennaio dell’87, quando Lidia Macchi sparì dal piazzale dell’ospedale di Cittiglio, si recò Giuseppe Sotgiu a guardare un film. Dall’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Varese, sulla base dell’impianto accusatorio delle indagini coordinate dal sostituto procuratore generale di Milano Carmen Manfredda, emerge che Sotgiu, nel febbraio ‘87, durante un primo interrogatorio, aveva invece detto di aver trascorso la serata del 5 gennaio con Stefano Binda e Piergiorgio Bertoldi al cinema. Quattro giorni dopo, la deposizione venne modificata. Secondo gli inquirenti, sulla base anche delle dichiarazioni della famiglia Bertoldi che ricordava di avere ospitato Giuseppe Sotgiu a casa propria ma che non cita Stefano Binda.
Gli inquirenti sospettano dunque che Sotgiu avesse voluto coprire l’amico del cuore, Stefano Binda appunto, che non sarebbe andato in vacanza a Pragelato (vacanza che terminò il 6 gennaio ‘87) o sarebbe tornato la sera prima. Quella del delitto.
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