25 ANNI DA VIA D’AMELIO
Borsellino e le indagini a Varese
Nell’ufficio dell’ex dirigente della Mobile Paolillo gli incontri segreti del giudice con un pentito agli inizi degli anni novanta

Il 19 luglio del 1992 a Palermo fu ucciso il giudice Paolo Borsellino. Ma a venticinque anni dalla strage di via D’Amelio pochi sanno delle sue “missioni” segrete a Varese. Un paio d’anni prima di essere ammazzato, infatti, mentre indagava sull’omicidio di un altro magistrato, Rosario Livatino, Borsellino scelse la Città Giardino per due incontri riservatissimi con Gioacchino Schembri, che poi divenne collaboratore di giustizia e che proprio nell’ufficio dell’allora dirigente della Squadra Mobile, Giorgio Paolillo, fece rivelazioni decisive per risalire al commando che eliminò il “giudice ragazzino” e agli autori di un’altra ventina di omicidi.
Livatino fu ucciso ad Agrigento il 21 settembre 1990. Da tempo il magistrato indagava sulla mafia agrigentina e ne aveva parlato più di una volta con lo stesso Borsellino, all’epoca procuratore capo a Marsala, raccontandogli di aver scoperto un traffico di armi tra la Sicilia e la Germania. E infatti dopo qualche giorno furono arrestati - grazie a un testimone oculare e alle impronte digitali trovate sull’auto della vittima - due giovani siciliani residenti in Germania, Paolo Amico e Domenico Pace, due dei membri della banda di killer. Fu proprio Borsellino a capire che i mafiosi dell’agrigentino si affidavano spesso, per le loro spedizioni criminali, ad esponenti della “stidda” di Palma di Montechiaro che vivevano e lavoravano a Mannheim, da dove partivano in treno o in aereo per commettere i reati in Sicilia e poi tornare subito in terra tedesca. Le indagini del commissariato di Castelvetrano (Trapani) portarono a Gioacchino Schembri, 35 anni, ritenuto uno dei capi di quella “stidda”, ufficialmente dipendente di una pizzeria nella città del Baden-Württemberg dove spesso si rifugiavano latitanti siciliani. Borsellino riuscì a mettersi in contatto con Schembri che si rese disponibile a un incontro segreto in Italia, ma non nella sua terra natale. Dove? Si pensò subito a una città del nord, a ridosso del confine, e alla fine (su indicazione di Francesco Misiti, in quel periodo dirigente del commissariato di Castelvetrano, oggi questore a Pescara) la scelta cadde su Varese, e in particolare sugli uffici della Questura.
Era il novembre del 1990. Fu lo stesso Misiti a telefonare al vicequestore aggiunto Paolillo annunciando che qualche giorno più tardi sarebbe arrivato a Varese con Borsellino per interrogare una persona e avrebbe avuto bisogno del suo ufficio. Il magistrato e il poliziotto atterrarono nel tardo pomeriggio a Malpensa, dormirono al Grand Hotel Palace di Varese dove l’indomani, alle 8.30, Paolillo andò a prenderli in auto per accompagnarli in piazza Libertà. Dopo un caffè nell’ufficio del questore Salvatore Tribulato, si spostarono in quello di Paolillo, al quale spiegarono che dovevano «ascoltare» un tale Gioacchino, proveniente dalla Germania, in merito all’omicidio del giudice Livatino. Come da accordi telefonici, Schembri li aspettava nel bar più vicino alla Questura (La Conchiglia) dove i due funzionari di polizia lo “agganciarono” e lo condussero davanti a Borsellino. L’interrogatorio durò tutta la giornata. «Mi sistemai in un ufficio vicino - ricorda oggi Paolillo - allo scopo di dare assistenza logistica. Tutti fumavano, tanto che il fumo usciva da sotto la porta. Dopo una pausa per un panino e una birra, l’audizione continuò fino a sera. Alla fine il procuratore era cautamente soddisfatto perché, mi disse, aveva convinto Schembri a parlare, riservandosi con lui un secondo incontro nello stesso posto».
E così avvenne. Qualche mese dopo, nella primavera del 1991, Borsellino tornò a Varese, stavolta accompagnato dal sostituto procuratore Alessandra Camassa e da un maresciallo dei carabinieri. E fu proprio in quella circostanza che Schembri rivelò il nome del capo del commando che aveva trucidato Livatino: Gaetano Puzzangaro, detto “a musca”, poi arrestato in Germania nel maggio 1992. Quel secondo interrogatorio, rammenta ancora Paolillo, fu effettuato di sabato. Fu molto più rapido: prima di pranzo era già finito. I suoi collaboratori rientrarono subito in Sicilia, mentre Borsellino rimase a Varese perché nel tardo pomeriggio sarebbe dovuto partire per una città del Lazio per andare a trovare una parente che aveva da poco partorito. E così il dirigente della Mobile varesina lo accompagnò in centro dove il giudice acquistò un oggetto in oro da regalare alla neonata.
Nelle sue indagini il magistrato continuò a seguire la pista tedesca. Schembri fu arrestato in Germania il 14 aprile 1992 ed estradato in Italia pochi giorni dopo la morte di Borsellino, aiutando – da pentito - a disegnare la mappa dell’organizzazione criminale agrigentina e raccontando ciò che sapeva su una ventina di omicidi.
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