L’ALLARME
«Di pesca non si vive più»
Prima l’inquinamento, adesso i cormorani: sul Ceresio è rimasta solo una decina di professionisti. Tra le nuove minacce anche il gardon, che mangia le uova di luccio e lucioperca

Sul lago Ceresio di pesca non vive più nessuno. L’Unione Pescatori del Ceresio, fondata nell’ormai lontano 1925, conta 130 soci; le licenze di pesca professionale sono solo una decina, mentre da parte elvetica i pescatori professionisti arrivano a poco meno di sessanta. Questi numeri così differenti sono proporzionali alle aree transnazionali in cui si divide lo specchio d’acqua che, per il 63%, appartiene al territorio svizzero, mentre per il restante 37% è compreso sul suolo italiano.
Dalla nostra parte anche i pescatori dilettanti sono molto diminuiti rispetto a qualche anno fa, riducendosi a una trentina. L’Unione Pescatori del Ceresio, presieduta da Lorenzo Previatello, si occupa perlopiù della tutela e della valorizzazione della natura e dell’ecosistema del lago. «Ci occupiamo del taglio del canneto che si estende subito dopo lo Stretto di Lavena per circa 800 metri - spiega Alberto Borroni, vicepresidente dell’Unione Pescatori - Quest’anno siamo intervenuti sul segmento, di circa 150 metri, compreso tra la vecchia filanda e il Villaggio Belli. Il canneto tresiano non è in perfetta salute, perché sta risentendo del grave inquinamento di anni fa. Nel corso dei decenni, infatti, la distesa di canne s’è ritirata di circa 20 metri, impoverendosi e offrendo meno spazio per la frega dei pesci».
A ridosso del canneto si estende un’area protetta, di circa tre chilometri quadrati, dove è vietata la pesca per consentire ai pesci, soprattutto carpe, la deposizione delle uova e agli uccelli di nidificare. «Posiamo anche le fascine per facilitare la frega - prosegue Borroni -, soprattutto delle specie più pregiate, come persico, luccio e lucioperca. Negli ultimi anni abbiamo dovuto collocarle sempre più a fondo, anche fino a sette metri, perché il persico depone le uova sempre più giù per cercare di sfuggire agli uccelli predatori, come svassi e cormorani». Il luccio e il lucioperca fregano nell’acqua bassa e sono facili prede, anche del gardon, il pesce più diffuso nel Ceresio. «Il gardon ha sostituito, nella catena alimentare, l’alborella - prosegue il pescatore -, solo che, a differenza di questa, non rimane piccolo, ma cresce anche fino a un chilogrammo di peso e si ciba delle uova degli altri pesci». I pescatori, dunque, ne limitano il numero cercando di mantenere l’equilibrio dell’ecosistema lacustre. «Attualmente sono i cormorani a rappresentare il principale pericolo per tutte le specie ittiche - specifica - Questi uccelli prima venivano dal Nord e si fermavano alle nostre latitudini solo durante la stagione fredda per poi ripartire, adesso invece hanno formato vere e proprie colonie locali. Se ne contano approssimativamente 1.100 sopra il Ceresio».
Nel 2017 i dati del pescato hanno registrato 14,3 tonnellate per i professionisti e 7,8 per i dilettanti (solo svizzeri perché non esiste dato italiano), per un totale di 22,1 tonnellate. Nello stesso anno i cormorani adulti erano stimati in 1.100, con un fabbisogno giornaliero di 0,5 chilogrammi per uccello al giorno, quindi un totale di 200 tonnellate di fabbisogno annuo. «Questo dato e la generale diminuzione del pesce nel lago - conclude Borroni - dovrebbero convincere le autorità competenti a interventi per la limitazione del numero di esemplari, come, per esempio, è stato stabilito per il lago di Varese».
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