IL PROCESSO D’APPELLO
Eva, disturbo psichico
Presentate le contro-perizie della famiglia Sacconago: «Le relazioni della ragazza con i religiosi sintomo evidente». Associato il rapporto con la suora alla violenza sessuale

Sulla decisione della corte d’appello sui reati contestati a suor Maria Angela Farè molto peseranno gli esiti delle consulenze e della perizia psichiatrica svolte sui manoscritti di Eva Sacconago. Il perito nominato dal tribunale, Franco Martelli, ha concluso per l’assenza di patologie psichiche nella complessa e fragile personalità di Eva. Ma il consulente della parte civile, che ha avuto l’incarico dall’avvocato Tiberio Massironi, è di un altro avviso. I rapporti sessuali che la parrocchiana di Sant’Edoardo - minorenne all’esordio del rapporto con suor Maria Angela - aveva con l’imputata non potevano essere consenzienti, perché la ragazza - morta suicida nel 2011 - soggiaceva alla religiosa. «È riconoscibile in Eva adolescente un disagio psichico relazionale che è perdurato nel corso degli anni, strutturando in età adulta un disturbo psicopatologico inquadrabile in un disturbo di personalità senza specificazione, con tratti dipendenti e tratti borderline», scrive la dottoressa Monica Scotta nella sua relazione. «Tale disturbo esordito in età adolescenziale ha inciso pesantemente a livello relazionale. Il disagio psichico relazionale presente nell’adolescenza e il disturbo di personalità in età adulta, che la condurrà al suicidio, hanno condizionato il funzionamento psichico e la capacità di decidere di Eva, ponendola in uno stato di inferiorità psicofisica. Su queste basi il consenso espresso da Eva non può che essere stato un consenso viziato».
Il consulente Scotta sottolinea le modalità ossessive dei legami che la giovane stringeva con le persone a cui faceva riferimento e individua tre figure carismatiche del suo ambiente religioso: «La Roby, suor Farè e don Alessandro Bonura».
E sul rapporto con il prete osserva: «Tale relazione nacque con le stesse caratteristiche, quasi fosse la ripresa coattiva di un copione, con cui era nato il rapporto con la suora». Quindi, a parere della parte civile le disfunzioni che connotavano Eva a quindici anni sono le stesse che la condizionavano a venticinque. E Scotta pone dei quesiti molto eloquenti: «Perché si relazionava solo con persone legate all’ambiente religioso? Perché una suora e poi un prete? Perché Eva non pensa di diventare suora? Ma soprattutto, perché si suicida?». Evidentemente la giovane non era così estroversa, allegra e positiva come fingeva.
La consulente della procura generale, Marina Loi, non conclude in modo dissimile. «Eva era portatrice di un disagio psichico relazionale già in adolescenza e ciò era facilmente riconoscibile. I tratti di personalità sono diventati sempre più rigidi e disadattivi, tanto da sviluppare un disturbo di personalità». E fa notare: «Questo disturbo ha inciso pesantemente nella relazione con se stessa e con l’altro, condizionandone il funzionamento psichico e ponendola non in grado di decidere su se stessa liberamente a causa di uno stato di inferiorità psicofisica che ne vizia irrevocabilmente un consenso sia agli atti sessuali sia alla relazione con suor Faré». Per questo l’avvocato Massironi non ha dubbi: esistono i presupposti per sostenere la violenza sessuale induttiva, continuata da quando la giovane era quindicenne. In primo grado l’imputata - difesa dagli avvocati Fabrizio Busignani e Raffaella Servidio - è stata condannata per violenza sessuale a tre anni e sei mesi di reclusione. Il 19 marzo arriverà la sentenza d’appello.
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