IL CASO
Invasione di cani malati dal Sud
Gli staffettisti li portano al Nord per farli ricoverare nei canili, condannandoli a una vita in gabbia

La situazione al canile sta diventando esplosiva, perché si sta riempiendo di animali fobici, malati e inadottabili. E ci sono dei responsabili ben precisi di questo momento mai così critico per la struttura Apar bustocca che si sta facendo in quattro per aiutare i quattrozampe.
«La colpa è delle folli staffette che fanno la spola con il Meridione portando qui i randagi» argomenta il consigliere comunale leghista Livio Pinciroli, pronto a scuotere anche la politica per mettere freno a questo arrivo costante e anomalo di Fido dalle condizioni fisiche precarie.
Il punto è che i randagi presi al Sud e messi in auto per risalire la Penisola, nella convinzione di strapparli alle sofferenze, sono in larga parte troppo problematici per essere gestiti e poi adottati. Quasi tutti sono fobici e difficili da avvicinare, alcuni hanno l’epatite, altri hanno un virus agli occhi, c’è chi ha problemi al pelo e - questione particolarmente grave - arrivano in buon numero con la pericolosissima leishmaniosi, malattia che in questi territori non è solitamente diffusa ma che si presenta comunque proprio per questo esodo forzato che non porta a nulla di buono, neppure per gli animali che si pensa di salvare affidandoli a una struttura. Infatti c’è un altissima probabilità - confermata dalle statistiche - che essi resteranno rinchiusi in una gabbia per tutta la vita.
Per capire che dimensioni abbia assunto il fenomeno, basta leggere qualche numero. Uno, ad esempio, dice che in via Canale, tolti gli esemplari anziani mantenuti al rifugio Elia, nel canile vero e proprio ci sono 60 Fido e almeno la metà ha tutte le caratteristiche patologiche per far presupporre che siano stati portati in zona dalle staffette.
«Per chi sa un po’ di veterinaria - spiega Pinciroli - basta un secondo per rendersi conto che sono cani selvatici».
Ciclicamente, dunque, alle porte della sede Apar (solo in qualche caso l’animale viene legato in giro per la città) si presenta qualcuno che dice di aver trovato un cucciolotto - solitamente di 10/12 mesi - che girovagava disperso per il territorio e di averlo quindi messo in salvo. Ai volontari non resta che accoglierlo, perché non sta a loro svolgere approfondimenti. Potrebbe farli la polizia locale, che però è sotto organico e oberata da mille altre incombenze per mettersi ad indagare sull’origine di un cane che risulterà senza chip di riconoscimento. Eppure, come racconta Pinciroli, chi si prende cura delle bestiole nota subito che hanno criticità comportamentali forti, non vogliono essere toccati e risultano quasi sempre con malattie anche serie. Quest’anno almeno una quindicina di esemplari avevano queste caratteristiche.
E poi non ci vuole troppo per leggere l’evoluzione di questo traffico che nasce da una spinta animalista («pseudo-animalista», precisa il consigliere comunale) ma che ottiene però quasi sempre l’effetto contrario di quello ipotizzato dalle staffette. Al canile di Busto dal 3 marzo alla fine di giugno, causa lockdown, non è arrivato neanche un nuovo ospite. Ai primi di luglio ecco otto arrivi a ritmo serrato. Sei cani erano cani fobici, altri due avevano una lishmania in stato avanzato. Curarli sarà un’impresa, farli adottare quasi impossibile. Non resterà forse che tenerli in gabbia a vita.
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