LE VIOLENZE
Quando a subire è il marito
L’accusa è di maltrattamenti in famiglia. La donna è arrivata anche a “esiliare” il consorte in cantina

Botte, umiliazioni, insulti subiti per anni. E no, non è la solita femmina indifesa la vittima. È un uomo, un marito oppresso dalle angherie imposte da una moglie senza scrupoli che si approfittava lui.
Ma che alla fine si è rivolto agli inquirenti per uscire da quell’inferno. A dire il vero il pubblico ministero a cui arrivò il caso, chiese l’archiviazione, ritenendo forse che gli episodi contestati non fossero di estrema gravità. Ma il difensore ha presentato opposizione e nei giorni scorsi il gip Piera Bossi ha ribaltato la lettura dei fatti, disponendo l’imputazione coatta della donna che ora - difesa dall’avvocato Carlo Basilico - andrà a processo con l’accusa di maltrattamenti in famiglia.
L’imputata dovrà rispondere di quanto accaduto tra il 2015 e il 2018.
A quanto pare la donna - impiegata di tutto rispetto negli uffici di un ente che tratta con la pubblica amministrazione, all’inizio di quel periodo sviluppò una forte dipendenza dall’alcol, questo almeno riferiscono i testimoni. Beveva, beveva sempre e più saliva la gradazione etilica più si slatentizzava la sua violenza. Il bersaglio divenne il marito, al quale non faceva che rivolgersi con toni minacciosi, dando ordini assurdi, pretendendo dedizione totale. E quando lui non “obbediva” volavano mazzate. Lei lo picchiava, a volte a mani nude, altre usando oggetti di varia natura.
Quando erano a tavola lei spegneva i mozziconi di sigaretta nel piatto in cui l’uomo stava ancora mangiando. In un crescendo di prepotenze domestiche, la consorte lo obbligò a fare armi e bagagli e a trasferirsi in taverna, dove visse confinato a lungo.
La figlia, ormai adulta, assisteva impotente e rassegnata a queste dinamiche familiari che, ovviamente, portarono alla separazione della coppia. Ma solo sulla carta: nessuno dei due aveva infatti le disponibilità economiche per trasferirsi in un’altra casa e dividere le loro esistenze, così decisero di mettere in vendita l’abitazione, dividersi il provento e poi trovare un alloggio ciascuno.
Capitò anche di arrivare a un passo dall’accordo, ma quando l’agente immobiliare si presentò con l’assegno l’imputata sbottò con una reazione rabbiosa, perché la cifra a detta sua era incongrua. Sbraitò, inveì e alla fine stracciò in tanti pezzi l’assegno, sotto gli occhi increduli del mediatore dell’agenzia.
In tutto questo quadro delirante, c’era anche una potente azione di stalking, fatta di messaggi copiosi e ingiuriosi, zeppi di intimidazioni e di invettive. Il reato è stato però assorbito da quello più grave di maltrattamenti, sicché non viene contestato.
© Riproduzione Riservata