PRONTO SOCCORSO
Muore in ospedale, tre indagati
La donna aveva atteso cinque ore con atroci dolori alla testa prima della visita. Famiglia e legali si chiedono se un tempestivo intervento avrebbe potuto salvarla: l’ipotesi è di omicidio colposo
Un dolore alla testa infernale, da togliere il fiato: la quarantottenne era al lavoro quando la cefalea ha iniziato a martellarla con violenza insopportabile.
CRISI DI VOMITO
I colleghi, in azienda, hanno chiamato l’ambulanza, la donna è stata portata all’ospedale ma solo dopo cinque ore di attesa in pronto soccorso, tra crisi di vomito e la sensazione che il cranio le si spaccasse, è stata visitata. Le condizioni erano tali da richiedere un intervento chirurgico urgente, quindi i sanitari l’hanno trasferita a Varese. L’operazione è riuscita, ma la paziente dopo nove giorni di ricovero è morta. A ucciderla, stando alla attuale diagnosi, è stata un’emorragia cerebrale ma ciò che i parenti e il pubblico ministero Nadia Calcaterra vogliono capire è se il decesso fosse ineluttabile o se, invece, una diagnosi tempestiva avrebbe consentito al chirurgo di salvarla. E dunque sono stati iscritti nel registro degli indagati due medici e una infermiera della struttura di Busto, tutti difesi dall’avvocato Giuseppe Candiani. Ieri il consulente della procura ha effettuato l’autopsia per cercare di dare una risposta ai quesiti posti dagli inquirenti e dai familiari della quarantottenne, assistiti dall’avvocato Ivana Scaglia. L’esito si conoscerà non prima di un mese, nel frattempo la polizia giudiziaria sentirà le persone informate sui fatti per avere chiaro il contesto in cui è avvenuta la disgrazia.
Al triage di Busto la donna è giunta nel primo pomeriggio del 10 giugno con sintomi allarmanti. Il suo turno non arrivava mai, quel giorno c’era sempre qualcuno più grave di lei a cui dare la precedenza.
SOTTO I FERRI
Possibile che lì, nel reparto di massima emergenza, nessuno abbia sospettato una sindrome neurologica? In ogni caso - stando almeno a quanto ricostruito finora dagli inquirenti che sono solo alle fasi iniziali degli accertamenti - solo alle 20.30 l’attenzione del personale si sarebbe concentrata su di lei. L’emorragia nel frattempo si era allargata e solo la neurochirurgia a quel punto avrebbe potuto arginare le conseguenze. Il reparto a Busto non c’è. La corsa verso Varese e la rapidità di chi si è trovato la quarantottenne sotto i ferri hanno consentito il buon esito dell’intervento.
Ma il 19 giugno la donna ha smesso di respirare per sempre. Tre giorni dopo, il padre, il fratello e il compagno si sono rivolti ai carabinieri per chiedere chiarezza sulle cause del decesso innanzitutto, sull’approccio dei sanitari bustesi al caso, sull’eventualità che non si sia trattato della rottura di un vaso arterioso o che sia stata scambiata con un’altra patologia. Terminato l’esame post mortem il pm Calcaterra ha dissequestrato la salma e dato il nulla osta per il funerale.
Ora l’inchiesta dovrà stabilire se quell’attesa possa essere considerata influente o se la tragedia fosse inevitabile.
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