LA VIOLENZA DOMESTICA
Sediate al figlio: mamma a processo
Lasciata dal compagno sfoga la sua ira sul ragazzo. La nonna acquisita chiama la polizia

La violenza in famiglia ha tanti volti. Quello più difficile da accettare sono i soprusi sui bambini, soprattutto se a commetterli è una mamma.
Eppure le indagini del commissariato, coordinate dal pubblico ministero Flavia Salvatore, hanno portato a galla questa triste realtà, consumata nel silenzio della vittima.
Se non fosse stato per l’intervento della nonna acquisita, che un giorno, dopo l’ennesimo episodio, decise di chiamare la polizia, forse il ragazzino non ne sarebbe mai uscito.
Ieri la donna, una trentasettenne di origini gelesi difesa dall’avvocato Alberto Arrigoni, è stata rinviata a giudizio dal gup Nicoletta Guerrero. Il processo dibattimentale inizierà a ottobre.
Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti le prime manifestazioni di aggressività comparvero quando l’imputata e il compagno - dal quale aveva avuto un’altra bambina - si lasciarono.
Fallito il primo matrimonio, anche questa relazione era naufragata e a quanto pare per i suoi nervi fu un duro colpo.
Dal 2013 avrebbe più volte aggredito verbalmente e fisicamente il figlio, percuotendolo, apostrofandolo come «figlio di merda», sputandogli in faccia.
Alcuni fatti risultano significativi per illustrare la personalità della trentasettenne: in un’occasione ruppe una sedia contro il ginocchio del figlio, un’altra volta lo picchiò con il manico della scopa così forte che il manico stesso si spezzò.
Un giorno, dopo averlo insultato e schiaffeggiato, lo morse al petto azzannandolo vicino all’ascella sinistra. Il ragazzo dovette farsi medicare in pronto soccorso, dove lo dimisero con cinque giorni di prognosi.
Durante una vacanza a Catania, seduti ai tavolini di un bar, il bambino ordinò una brioche che però gli cadde di mano. La madre gli tirò un ceffone e lo obbligò a mangiarla lo stesso. Il segno dello sberlone gli rimase una settimana, tanto impartì un’indicazione precisa: «Quando vedi tuo padre digli che hai sbattuto contro una ringhiera».
Tutto perché viveva frustrata dalla fine di una relazione durata otto anni, in cui il figlio di primo letto era stato cresciuto e coccolato con lo stesso affetto riservato alla sorellastra.
I genitori dell’ormai ex compagno dell’imputata erano un vero punto di riferimento per il ragazzino che spesso cercava ospitalità da loro, al piano sopra la sua abitazione. Un giorno si presentò dalla nonnastra in lacrime, reduce dall’ennesima scarica di botte.
La donna a quel punto disse basta e chiamò la polizia. Era maggio del 2015: arrivò la squadra volante e tempo zero il bambino venne portato via alla madre e collocato in una struttura protetta. Sentito con le dovute modalità, il ragazzo confermò i maltrattamenti subiti con racconti logici e privi di contraddizioni, aggiungendo che spesso la mamma diventava aggressiva anche con la sorellina.
«Mi sgrida da quando ero piccolo, scatta per qualsiasi stupidaggine», spiegò. Ora toccherà alla donna difendersi davanti al giudice.
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