LA SENTENZA
Stuprata dal suocero. Non era vero
Aveva una relazione con la nuora che lo denunciò per violenze sessuali. Assolto

Ma quale stupro. Col suocero ci andò con piena consapevolezza e volontà, tanto è vero che uno dei suoi figli l’avrebbe avuto proprio con lui.
Ieri, martedì 19 marzo, per il cinquantanovenne finito a processo è stato il giorno della verità: il collegio giudicante presieduto da Renata Peragallo lo ha assolto dalle accuse di violenza sessuale e sequestro di persona, così come chiesto dal pubblico ministero Susanna Molteni al termine della requisitoria.
L’imputato in aula ha smontato la ricostruzione fantasiosa dei fatti denunciati dalla nuora con una affermazione che la dice lunga: «A mio figlio l’avevo detto che quella non fosse la donna per lui, di lasciarla perdere». E in effetti il cinquantanovenne la conosceva bene. La storia con lei era addirittura precedente alla relazione della trentatreenne con il figlio. La vicenda, all’epoca delle indagini, sembrava molto più complicata e oscura di quanto si sia rivelata nel corso del dibattimento.
La donna si mise con il giovane della famiglia nel 2009, la storia si caratterizzò subito da tira e molla dovuti anche agli stupefacenti di cui lui faceva spesso uso. I rapporti con il suocero sono sempre stati ottimi, e con il senno di poi si capisce il perché. Nel 2010 la trentatreenne rimase incinta di due gemelli frutto dell’amore con il compagno, ma li perse e, successivamente, si allontanò anche dal giovane.
Intanto però era stata ricoverata in ospedale dove il suocero le faceva spesso visita. Una sera i due scesero a fare una passeggiata. Arrivati vicino all’obitorio, l’imputato l’avrebbe fatta sdraiare sull’erba e l’avrebbe sedotta per l’ennesima volta.
Lei però raccontò tutta un’altra versione: «Mi saltò addosso, io ero intontita dal valium, si approfittò di me». E oltre a questo episodio ne aggiunse di altri, in cui si dipingeva vittima di un orco che per averla minacciava di morte lei e la sua famiglia. Nel corso del processo, tuttavia, sono emersi particolari che hanno minato la credibilità della donna. Per esempio prove del fatto che i due si recassero spesso negli alberghi e nei motel della zona e che fosse lei stessa a prenotare e a pagare.
Riferì pure di una segregazione in una casa di proprietà del suocero durata ventiquattro ore: era il periodo di una delle gravidanze e a detta sua l’imputato l’aveva chiusa dentro per convincerla a partorire a Napoli. Anche questa circostanza non ha per nulla convinto il collegio (a latere del giudice Peragallo i colleghi Cristina Ceffa e Marco Montanari).
Oltretutto nel frattempo la donna aveva ripreso a vedere il figlio dell’uomo e ad avere rapporti con lui mentre era incinta.
Anzi, lo convinse addirittura ad andare a convivere e non solo: il giovane venne persuaso a farsi carico della paternità del fratellastro. Un quadro che non ha deposto per l’attendibilità della trentatreenne, che più che come vittima di abusi è uscita dal dibattimento nei panni di una maliarda Brook Logan. Ma tutto verrà spiegato nelle motivazioni della sentenza.
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