LA VIOLENZA
Tenta di stuprarla, lei lo picchia
Elejenny Vergani, allenatrice dell’Accademia Pattinaggio, aggredita in strada a Milano

Anche su una tosta come lei, i segni rimangono. «Questa mattina, appena mi sono svegliata, nella mia mente la prima immagine che si è disegnata è stata quella di quell’uomo che arrivava alle mie spalle, mi metteva una mano sulla bocca, mi buttava per terra e cercava di slacciarmi i pantaloni toccandomi». Ma Elejenny Vergani, 32 anni, notissima a Busto Arsizio perché è allenatrice di centinaia di atlete dell’Accademia Bustese Pattinaggio, ha una forza d’animo (e fisica) non comune, la stessa che l’ha indotta a non nascondere nulla e a raccontare pubblicamente l’aggressione subita.
Lo spirito di sopravvivenza
Di che pasta sia fatta se n’è accorto bene anche il ragazzo che ha cercato di stuprarla nel tardo pomeriggio di sabato 28 novembre a Milano, mentre la giovane stava passeggiando non distante da City Life. «Quando mi sono ritrovata a terra, con la testa dolorante, presa di sorpresa da quel delinquente che si era buttato sopra di me, mi sono detta che non dovevo mollare. Gli ho tirato due calci in pancia e l’ho fatto scappare». Nonostante le contusioni riportate in quei momenti, ha avuto la meglio lo spirito di protezione e l’adrenalina. «Appena mi sono rialzata - racconta ancora Vergani - mi sono messa anche a rincorrerlo. Poi mi sono detta: “ma cosa sto facendo?”. E ho chiamato i soccorsi». Così la sua «serata alternativa», come la definisce lei, è finita in ospedale, all’ospedale Mangiagalli di Milano, specializzato nel soccorrere le donne vittime di aggressioni.
Ottenute le cure per le varie contusioni ed ecchimosi riportate nell’aggressione, la mattina dopo è andata a completare la denuncia ai carabinieri. «La cosa più choccante è che mi hanno detto che solo a Milano era esattamente la settecentesima che raccoglievano nel corso dell’anno».
La reazione e la lezione
Grazie alla sua forza di reazione, Elejenny è riuscita ad evitare il peggio: «Non so dire se sono stata fortunata per aver evitato che abusasse di me, di certo ho trovato dentro la mia mente la forza per non farmi sopraffare», spiega l’allenatrice di pattinaggio. «Quello che ho subito pensato, però, è che di fronte a certe vicende che mai ti aspetti possano capitare in pieno giorno e in una zona non certo malfamata, è che non deve vincere neppure il senso di vergogna. Altrimenti vincono loro. E infatti io so che non c’è nulla di cui aver timore nel raccontare e nel denunciare».
Tant’è che domenica 29, una volta a casa, ha deciso di condividere la vicenda che le era capitata con i suoi amici di Facebook. Senza girare attorno alla realtà. «Parlarne e reagire sono le uniche cose giuste da fare».
Il messaggio per le giovani
Ieri mattina, lunedì 30, collegata in streaming davanti alla scolaresca a cui tiene lezioni di scienze motorie, ha voluto parlar chiaro: «Per spiegare come mai ero tutta ammaccata, ho detto la verità. Cioè che mi hanno aggredita e che io ho reagito, rimediando un po’ di botte. Si tratta di un istituto tecnico, frequentato soprattutto da ragazzi, ma credo che sia stato giusto essere chiara, far passare il messaggio».
Ed è una «morale» che vale anche per le altre donne, comprese le sue atlete del pattinaggio bustocco: «Viviamo in un mondo complesso, in certe parti difficile e cattivo, in cui il cosiddetto gentil sesso è vittima di soprusi. Nessuno lo deve accettare, mai, e le cose brutte non vanno subite, ma denunciate. In questi giorni ho anche scoperto che esiste davvero un universo che aiuta chi si ribella».
Oltre le scarpette rosse
Certo Vergani è consapevole che non tutte le donne, di fronte a una situazione simile, avrebbero la sua stessa capacità e volontà di reazione. «Ma proprio per questo - prosegue - dobbiamo combattere assieme, a testa alta, con forza. Pochi giorni fa era il 25 novembre e in tutta Italia ci sono state iniziative giustissime contro le violenze. Ma non basta mettere in giro delle scarpette rosse per ribellarsi. Serve che ciascuna di noi, qualunque cosa possa accadere, non si pieghi nella depressione per sbagliati sensi di colpa. Io, dal primo istante in cui sono stata aggredita, me lo sono ripetuta: l’unica cosa che non serve a nulla, è vivere nella paura».
© Riproduzione Riservata