LIBERAZIONE
Un 25 aprile di unità. Ma diviso
Al tempio civico i discorsi ufficiali di Antonelli, monsignor Pagani e Gian Pietro Rossi. In piazza Vittorio Emanuele i canti e i colori del Comitato antifascista
Da un lato, al Tempio civico, amministrazione, Anpi, Raggruppamento partigiani Alfredo di Dio e tutte le autorità del territorio. Dall’altra, in piazza Vittorio Emanuele II, il controcanto del Comitato Antifascista.
Un 25 aprile in due piazze diverse, a Busto Arsizio. Il sindaco Emanuele Antonelli chiama all’unità e invita a formare chi dovrà continuare a festeggiare l’anniversario della Liberazione in futuro: «Dispiace che qualcuno abbia scelto di festeggiare a pochi metri da qui, queste divisioni manichee non hanno senso. Non ha senso che alcuni si ritengano più degni di altri. Io mi interrogo su che senso abbia oggi celebrare questa data. Non ho una risposta soddisfacente. Vorrei rendere attuale il concetto di Liberazione: vorrei che il tavolo della memoria nato con le scuole organizzasse il 2020 pensando al 2050. Ora ricordiamo i giovani eroi che ci hanno permesso di vivere senza oppressioni e atrocità: se non siamo in grado di imitarli, dobbiamo almeno ricordarli».
L’intervento ufficiale è affidato al senatore e sette volte sindaco Gian Pietro Rossi, che ha voluto portare con sé il cappello delle Aquile Randagie, gli scout che anche da Busto Arsizio accompagnarono molti ebrei in salvo in Svizzera. «Mi contestano – dice - perché il titolo del mio discorso porta a chiedersi se la Resistenza fu lotta di popolo. Fu sicuramente questione di popolo, perché lavoratori e imprenditori, persone di diverse fedi e uomini di Chiesa affrontarono tutto in unità di intenti. Dobbiamo piuttosto chiederci se quella di allora fu una rivoluzione completata o rimasta a metà. Noi fummo ribelli per amore, non per odio. Ritrovare la libertà significava recuperare dignità. No, oggi quella rivoluzione non è completata. Si deve dare a ogni uomo dignità, a partire dal lavoro. Non con l’elemosina, ma offrendo la possibilità di lavorare».
Ricordati gli amici Bruno Raimondi ed Eliano Crespi, morti accanto a lui il 16 giugno 1944 mentre le mitragliatrici tedesche lo risparmiarono, Rossi esorta a «riaccendere la fiammella per altri 70 anni, poiché ormai noi partigiani ci stiamo spegnendo».
Nel Tempio Civico, all’omelia, monsignor Severino Pagani, aggiunge altre esortazioni, puntando su memoria, libertà e democrazia: «Non vedo qui i giovani, bisogna esortarli a studiare per cogliere la verità dei fatti. Occorre ribadire che libertà significa dignità delle persone. Non lasciamoci andare all’aggressività, oggi vediamo troppi litigare. Dialogare costa, richiede responsabilità». Infine, «meglio la debolezza della democrazia che la forza dell’autoritarismo».
A mezzogiorno, tutto è terminato. A pochi metri da lì, nella piazza recentemente rinnovata, il Comitato Antifascista intona “Bella ciao”. Molti salgono sulla barca di legno e cartone con tanto di vele bianche disegnate dai bambini. Vuole simboleggiare i viaggi della speranza di chi arriva in Italia a cercare i valori e i diritti difesi dalla Costituzione repubblicana, nata dalla Resistenza. E’ festa di canti e colori. Uno stile diverso. Solo pochi, però, hanno condiviso le due celebrazioni.
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