IL PERSONAGGIO
Fumetti senza giri di parole
Il debutto europeo di Riccardo Rosanna, autore di Busto Arsizio

«Oggi si tende a dire graphic novel, ma la parola “fumetto” è già forte di suo. Si usa un termine nuovo, solo per dare più importanza a qualcosa che importante lo è già». Non ha bisogno di anglicismi raffinati Riccardo Rosanna, trentaquattrenne di Busto Arsizio, al suo esordio ufficiale da fumettista con il volume Clifford Hicks: una storia di jazz e silenzio, di sogni e di oblio, creata dallo sceneggiatore Tommaso Valsecchi e pubblicata per il colosso d’oltralpe Glénat, già editore di serie celebri come Titeuf e la traduzione francese di Dragon Ball.
L’uscita del volume per un marchio di risonanza europea «è sia un bel traguardo sia un bel punto di partenza», commenta Riccardo, che nel frattempo si è già fatto le ossa come illustratore per tante realtà italiane (fra cui Mondadori, Newton Compton e Burno), oltre a insegnare Anatomia e Prospettiva alla Scuola del Fumetto di Milano.
Il debutto con Glénat fa quindi da preludio a nuovi progetti da coltivare qui da noi, anche in un’ottica di valorizzazione più matura, convinta e consapevole della Nona Arte nel contesto italiano.
D’altronde, Clifford Hicks non ha nulla da invidiare ai grandi romanzi o al cinema d’autore, né ad altri generi da sempre più “rispettati” del fumetto. Quella scritta da Valsecchi e disegnata da Rosanna è la parabola di un giovane musicista nero nell’America del XX secolo, inghiottito dalle promesse di un talento incandescente, frastornato dal mischiarsi di ambizione e amore in una stessa febbre, fino alla discesa fra crimine, dipendenza e solitudine. Un’epopea che ha il respiro profondo di Novecento e la tensione irrequieta di Whiplash, ma che sceglie di raccontare la sua vertigine attraverso tavole disegnate, dove ogni tratto è ritmo, ogni colore è vibrazione.
Per Riccardo, entrare in sintonia con Clifford «è stato facile» fin da subito: merito della scrittura di Tommaso, che aveva dentro tantissimo di «autentico», dai dialoghi alla psicologia dei personaggi, «come se la storia di Clifford Hicks fosse sempre stata lì», e lo sceneggiatore l’avesse «effettivamente vissuta in prima persona». Rosanna parla della «grande intesa» con Valsecchi, che ha sempre lasciato «molto spazio creativo» al collega.
Del resto la storia si snoda lungo quasi settant’anni, dal 1938 al 2005: la sfida più grande, per il disegnatore, è stata accompagnare nel tempo un protagonista che «cresce di capitolo in capitolo, lo vediamo in diverse fasi della vita – spiega Rosanna – e non è stato semplice cambiarne ogni volta la fisionomia». Per non parlare del lavoro di ricerca alla base delle scenografie: New York, New Orleans, Los Angeles, ognuna ricostruita fedelmente in un’epoca diversa dall’altra.
La storia di una vita e di un’intera società, condensata in due anni e mezzo di lavoro al tavolo da disegno: «È stato un gran bel viaggio, e chiudere il libro è stato difficile. Dopo così tanto tempo passato con gli stessi personaggi, a lavorare ogni giorno su di loro, lasciarli andare ti lascia un vuoto dentro. Sono 140 tavole, e in ognuna ho messo un po’ di me stesso, come ovviamente ha fatto anche Tommaso».
Accanto alla linea narrativa principale, il volume è costellato di cameo e easter egg: Riccardo si diverte a popolare le tavole con volti noti come Samuel L. Jackson, William H. Macy, Denzel Washington, dando al fumetto un respiro da vero racconto cinematografico: «Ci piace utilizzare delle persone reali per dare più carattere a personaggi fittizi. È come se fossero gli attori di un film. Il nostro film».
Clifford Hicks non è un’opera da leggere e riporre, ma una narrazione stratificata, inesauribile, che rivela sempre nuovi dettagli da scovare, come uno zippo decorato da una “R” che ricompare a più riprese, sfidando il lettore a rintracciarlo di capitolo in capitolo. E se il fumetto è per sua natura un genere ibrido, questo lo è due volte: tra i capitoli si inseriscono finti articoli di giornale, frammenti di leggende jazz stesi da Valsecchi e illustrati da un fantomatico “Richard Roseanne”. Si tratta di inserti che richiamano la genesi del progetto originale dietro a Clifford Hicks, all’alba di una gestazione cominciata ben 5 anni fa, quando «Tommaso, in piena pandemia, mi propose di collaborare per pubblicare una raccolta di storie brevi a tema jazz», poi conservate e divenute parte integrante della narrazione a fumetti sviluppata in seguito.
Riccardo e Tommaso sono anche docenti alla Scuola del Fumetto di Milano, dove Rosanna ha preso nel 2012 il diploma di Fumetto realistico. Fra i suoi docenti di allora conobbe quello che, oggi, per lui rimane un mentore e un punto di riferimento, Giuseppe Quattrocchi: «Un fumettista incredibile con cui tuttora mi confronto, e che mi ha insegnato cosa vuol dire disegnare fumetti. Oggi ho la fortuna di collaborare con lui fra le mura della Scuola, ma non mi ritengo certo al livello di una persona che, come lui, ha dedicato tanto tempo all’educazione dei ragazzi, ed è riuscito a portare avanti la sua professione».
E Riccardo, la professione di disegnatore, la rivendica con forza, senza cercare definizioni alternative: «Io faccio fumetti. È un lavoro che richiede tempo e sacrificio, e penso sia giusto che venga riconosciuto a livello nazionale». È in questo senso che la chiusura del museo “WOW Spazio Fumetto” di Milano – prevista per questa domenica, 15 giugno, dopo 14 anni di attività – suona per Riccardo come «fallimento culturale», per certi versi «emblematico della situazione italiana». Ma non basta certo a spegnere l’ostinazione di chi, come lui, continua a credere in un cambio di passo: un salto di statura e dignità estetica per il fumetto italiano, meritevole di un riconoscimento più diffuso. «Siamo una grande comunità – dichiara Rosanna – ed è importante che siamo noi per primi a definirci fumettisti. Senza giri di parole».
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