L’INTERVISTA
«Cambiamo la scuola per salvare i giovani»
Don Antonio Mazzi spiega il suo progetto per dire basta ai suicidi e alla depressione adolescenziale

«Il giorno prima portano la nonna a fare la spesa, il giorno dopo cavano gli occhi al gatto».
Sono così gli adolescenti: strani e contraddittori. A guardarli con la mentalità dell’adulto non ci si capisce niente. Occorre una guida. Serve una persona che queste dinamiche le conosce alla perfezione. Don Antonio Mazzi ha 87 anni ma gli occhi di un bambino. Non ingenui, naturalmente. Però profondi come i loro.
Affronta il tema dei ragazzi cattivi - emergenza venuta a galla di recente a Varese così come in tante parti d’Italia - con molta chiarezza sulla strategia da adottare per superare la crisi ma pure con estrema preoccupazione perché i giovani sono difficili da capire e sfuggenti.
Esplosione fisica
«L’adolescenza dei nostri figli ci piomba addosso in maniera inaspettata. Ci accorgiamo che non sono più bambini e, di regola, agiamo nella maniera più sbagliata, cercando di castrarli o di punirli. In questo i genitori non sono aiutati né dalla società né dalle istituzioni perché progetti veri non ce ne sono. Resistono ancora, ma con enorme difficoltà, gli oratori di don Bosco, gli Scout o il Csi (centro sportivo italiano). Ma chi affronta davvero il tema dei ragazzi compresi nell’età tra 10 e 15 anni? Nessuno. Questi giovani uomini hanno un’esplosione fisica pazzesca. Non puoi prenderli con il ragionamento, devi trovare altre strade».
Scuola media da smontare
«Per affrontare il problema dell’adolescenza bisogna muoversi innanzitutto su due fronti: la paternità e la scuola media».
I papà oggi hanno perso quell’autorevolezza che li ha caratterizzati per tanti anni, ma - secondo don Mazzi - devono riuscire a mantenere il loro ruolo di punto di riferimento per i ragazzi. Non è facile in una società che tutto distrugge e tutto mette in discussione. Inoltre «bisogna smontare la scuola media per rimontarla con orari e discipline diverse in modo da venire incontro alle enormi potenzialità degli adolescenti di oggi».
Non facciamo i becchini
Secondo don Mazzi se non si prende di petto la questione giovani «saremo costretti a fare i becchini, a raccogliere i morti» perché «tentati suicidi e depressione adolescenziale non si curano dallo psichiatra, ma con un metodo d’intervento radicalmente diverso da quello di oggi».
E quale?
«Ci deve essere un’esperienza fuori dalle mura, molta attività fisica e la capacità di accompagnare lo sviluppo».
Questa è la ricetta del fondatore di Exodus, una realtà che ormai ha più di cinquanta comunità sparse in Italia e nel mondo.
«All’Isola d’Elba - spiega - abbiamo messo i ragazzi in barca a vela con uno skipper e abbiamo fatto fare loro un’esperienza che li ha cambiati».
Esperienze pilota
L’esperienza pilota dell’Isola d’Elba potrebbe essere replicata in altre parti d’Italia e pure in provincia di Varese. Il grande sogno, si sa, è alla Villa Calderara di Gallarate dove però le idee troppo innovative tardano a decollare per una serie di difficoltà e incomprensioni. A Villadosia, allora, potrebbe esserci «una buona base di partenza».
Don Mazzi spiega la sua strategia: «Vorrei aprire una realtà al Nord, una al centro e una al Sud con questo tipo di progetti, coinvolgendo quelli che chiamano gli adolescenti difficili in attività diverse, nell’andare in barca come nella coltivazione dei mirtilli, cosa che stiamo cercando di fare sul lago di Garda».
Fare per capire cosa è davvero la vita, e per capirsi. Questo è il percorso di maturazione che Exodus vorrebbe proporre a quei ragazzi stanchi e sfiduciati dalla scuola e dalla famiglia.
Battaglia insieme
L’alternativa è il nulla. «Ma vi rendete conto di quanti ragazzi stiamo perdendo? Questi prendono il suicidio come se nulla fosse».
L’onda mediatica che ha messo a nudo il fenomeno del Blue Whale è solo la punta dell’iceberg.
«Mi hanno portato una ragazza di tredici anni che si stava buttando dalla finestra. Sua sorella l’ha vista e l’ha salvata. Aveva sulle braccia i tagli di questa porcheria». Perché si arriva a tanto?
«Le radici del disagio ormai sono difficili da trovare. Noi, però, non siamo più capaci di ascoltare i nostri figli. Per questo dobbiamo metterci insieme, fare una battaglia in grado di dare loro delle risposte in una società che gliele nega».
Il ruolo della Chiesa
La Chiesa, in questo momento, fa fatica ad elaborare risposte valide. Don Mazzi non ha parole tenere per i suoi colleghi preti. Difende Papa Francesco, meno chi gli sta intorno.
«La Chiesa dovrebbe essere più avanti di tutti, invece è indietro perché non ha capito il dolore. Sta tentando di insegnare l’amore ma si è dimenticata che per arrivarci bisogna sempre passare dalla sofferenza».
Nel contempo vengono meno, per tanti motivi, gli oratori. Ecco perché il sacerdote veronese lancia la sua strategia alternativa. Difficile, impegnativa, tutta da esplorare. Ma l’unica via d’uscita - secondo lui - dal tunnel in cui si è infilata la nostra società. Dentro la quale a pagarne le conseguenze maggiori sono proprio i giovani.
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