PAZZIA E TEATRO
Camille Claudel sono io

Molte voci, molteplici piani di lettura, storia, filosofia, psicologia si concentrano intorno a una figura affascinante e danno vita un piccolo evento per Varese, colto quanto basta da ambire ad essere in realtà immediato e travolgente nei suoi contenuti. Stiamo parlando di «Moi», uno spettacolo teatrale sulla figura di Camille Claudel, scultrice di valore internata in manicomio per trent’anni e ricordata nei libri come l’allieva e amante di Auguste Rodin, grande scultore più famoso e e più vecchio di lei di 24 anni nella cui opera tuttavia si avverte la sua presenza.
Il testo è di Chiara Pasetti, appassionata studiosa e firma delle autorevoli pagine culturali del Sole 24 ore. È stata lei a proporre la pièce al direttore del teatro di Varese Filippo de Sanctis, che non solo l’ha accolta con curiosità ma le ha creato intorno una rete di connessioni culturali, evidenziando le affinità elettive che legano Camille, Pasetti e Varese.
L’autrice ha infatti collaborato con Fabio Minazzi, direttore scientifico del Centro internazionale «Carlo Cattaneo» e «Giulio Preti» dell’Università dell’Insubria, per una mostra su Antonia Pozzi (Milano 1912-1938), figlia di un avvocato di Laveno, grande poetessa che si tolse la vita coi barbiturici a soli 26 anni tentando di sconfiggere la sua «disperazione mortale»: la mostra sarà dal 25 marzo a Novara, l’archivio e la biblioteca della Pozzi - manoscritti, lettere, quaderni, fotografie - sono stati donati nel 2015 dalle Suore del Sacro Cuore al Centro varesino. Inoltre il caso vuole che Anne Rivière, la maggiore studiosa di Claudel, sia la moglie di Jean Petitot, professore che fa parte del comitato scientifico dell’Insubria. Le affinità elettive, si diceva.
E Minazzi vuole anche sottolineare che non è un caso - a parer suo - se il dipartimento universitario di filosofia a Bizzozero sorge proprio negli edifici dove una volta c’era il manicomio: nelle aule e nei corridoi, luoghi carichi di dolore, si sentono gli echi del passato, nei sotterranei ci sono ancora tantissimi documenti, le liste dei pazienti e dei farmaci somministrati, gli strumenti usati allora per praticare l’elettroshock e sperimentare, per esempio, la lobotomia (quella che rende un vegetale Jack Nicholson in «Qualcuno volò sul nido del cuculo»). Il professore annuncia anche che l’università sta progettando una mostra di questi materiali varesini, per documentare e denunciare quanto accadeva anche qui e rendeva meno umani gli umani, sia le vittime che i carnefici.
Come scriveva Camille: «Dopo trent’anni che subisco questo martirio non mi sento nemmeno più una creatura umana». E proprio per approfondire questa tematica lo spettacolo sarà preceduto da una conversazione tra Pasetti e Marta Zighetti, psicoterapeuta varesina, autrice di un saggio da poco pubblicato dal significativo titolo «Essere essere umani» (Edizioni d’Este).
Ma veniamo a Camille Claudel: «Una figura potente, originalissima, luminosa e tragica, lirica e ironica, sublime e grottesca. La sua vita può essere condensata in due parole: fragilità e forza. E la forza viene dalla sua arte», dice Pasetti. «Mi sono accostata alle sue opere con ammirazione e passione, e alla sua vita (e alla sua morte) con un misto di rispetto e di rabbia per ciò che ha subito. Ho deciso così di raccontare la sua storia».
Nata a Fere en Tardenois nel 1864, sorella di Paul, cattolicissimo autore dell’«Annuncio a Maria», per trent’anni - da quando ne aveva 48 fino alla morte avvenuta nel 1943 - già abbandonata da Rodin, Camille è stata abbandonata anche dalla famiglia e internata in un ospedale psichiatrico di Montfavet, vicino ad Avignone, con la diagnosi di schizofrenia, senza mai ricevere visite. Anche quando il medico chiama la madre Louise per dire che la paziente sta meglio, potrebbe tornare a casa, questa risponde che può pagare di più ma non vuole mai più vedere la figlia. Terribile.
Lo racconta la stessa Camille in una delle lettere pubblicate in Francia da Gallimard e tradotte da Pasetti per il suo monologo, fatto appunto di testimonianze dirette e riflessioni dell’autrice affinché questa tematica così affascinate e insieme inquietante possa arrivare dritto allo cuore (o allo stomaco) dello spettatore.
Quello su cui infatti lo spettacolo invita a riflettere è proprio la definizione della pazzia: il modo di essere di Camille, che era poco contenuta, che a volte distruggeva le opere che aveva creato, forse ai tempi poteva essere fastidioso o frainteso? E quante volte, a quante donne è capitato? Antonia Pozzi, solo per citarne una.
Camille Claudel è ingiustamente ricordata, secondo Pasetti, come l’«amante di» o la «sorella di»: era prima di tutto una donna e una grande artista. Chiara Pasetti lo racconta nel suo saggio «Mademoiselle Camille Claudel e moi» (Aragno editore), presentato a dicembre anche a Varese da Stefania Barile e base di lavoro per il monologo teatrale atteso a Varese: «La scultura non fa parte della sua vita, è la sua vita dalla più giovane età. Faceva e rifaceva la stessa opera infinite volte, levigandola e perfezionandola di continuo, come se non fosse mai soddisfatta».
«Moi», il titolo scelto, è un altro rimando colto: Camille rispondendo al questionario Proust, alla domanda qual è il tuo artista preferito disse semplicemente «Moi», che fa rima «elettiva» con il «madame Bovary c’est moi» che risuona nel celebre romanzo di Flaubert. Inoltre, osserva Marta Zighetti, l’acronimo «Moi» nel linguaggio della psiche indica il «Modello operativo interno», il modo di funzionare di ciascuno di noi che si stabilisce nei primi nove mesi di vita. Altra metafora e altre affinità elettive di questo spettacolo.
Due grandi attrici hanno interpretato Camille Claudel in due film: nel 1988 Isabelle Adjani e nel 2015 Juliette Binoche. Ora è Lisa Galantini a dare corpo e voce alla scultrice, con la regia di Alberto Giusta, in uno spettacolo realizzato dall’associazione culturale «Le Reve et la vie», in collaborazione con Fondazione Luzzati e Teatro della Tosse di Genova.
«Moi» ha debuttato nel settembre 2016 a Genova, proprio nell’ex ospedale psichiatrico di Quarto dove ora c’è il Museo attivo Claudio Costa, «un luogo che tutti dovrebbero vedere», dice Chiara Pasetti. In attesa di scoprire i sotterranei dell’ex manicomio varesino, aggiungiamo noi.
«Moi» - Giovedì 2 marzo a Varese, teatro Openjobmetis, piazza Repubblica, ore 21, 15/10 euro, 0332.247897; alle 18.30 nel foyer conversazione tra Chiara Pasetti e Marta Zighetti, autrice di «Essere essere umani».
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