CARCERE
«Qui non si sta proprio al fresco»
Il garante Matteo Tosi: caldo insopportabile per detenuti e agenti

«Al contrario di “al fresco”». A chi gli chiede come si viva in queste giornate di super caldo estivo all’interno del carcere bustese, il garante dei detenuti Matteo Tosi risponde così. Con una battuta dal sapore amaro.
In via per Cassano, dove il sovraffollamento rimane una costante, è già difficile affrontare le giornate, quando ci si mette di mezzo anche l’afa allora le condizioni peggiorano notevolmente. Non ci sono lamentele, si sa che è così, ma è evidente che dietro i cancelli e le alte mura di cemento non passino giorni sereni né i reclusi né gli agenti della polizia penitenziaria.
«Migliorare le cose è una questione di tempo non di volontà - spiega Tosi, esponente di Busto Grande che ha accettato l’incarico di farsi portavoce delle istanze dei detenuti - Ci troviamo in una zona affiancata da un aeroporto internazionale: i reati si moltiplicano e i carcerati aumentano facilmente. Siamo sempre sopra quota 400, è impossibile rientrare in numeri sensati. Anche perché la soglia corretta per le dimensioni di questa sede sarebbe inferiore alle trecento unità. In ogni caso, siamo fuori limite massimo».
Da anni si tollera una condizione che non pare avere alternative. «Il dato paradossale rispetto a questo sovraffollamento è che non è colpa di nessuno, se non del sistema. L’aria condizionata manca per i detenuti come per chi lì dentro lavora. Non c’è negli uffici, né in caserma, né in altre parti del carcere».
Tosi fa notare che i picchi di caldo e afa dei giorni scorsi sono risultati insopportabili «per chi lavora e deve indossare una divisa, non può girare liberamente con calzonicini e canotta, come i detenuti». Nelle guardiole e nei gabbiotti, resistere alla calura appare davvero una sfida. «I lavori per migliorare lo stato delle cose sono sempre in corso, si cerca di cambiare ma non è semplice - dichiara il garante - Non è che non si faccia nulla, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria è al corrente della situazione ma deve fare i conti con i fondi a disposizione e con le energie disponibili. Va considerato, ad esempio, che quando cinque detenuti stanno lavorando alla sistemazione delle docce, devono esserci alcuni agenti a controllarli, visto che hanno a disposizione attrezzi che potrebbero essere usati per aggredire. I problemi che gli agenti devono affrontare sono tantissimi, in questi tempi di ferie estive si sentono ancora di più: manca personale per far fronte a ogni esigenza, gli agenti scarseggiano abitualmente. In agosto la cosa è maggiormente evidente».
La tensione si fa sentire? «La tensione c’è sempre, il caldo fa impazzire la gente che vive liberamente, figuriamoci là dentro.
Gli ultimi casi di suicidio hanno dato parecchio da pensare a tutti quanti».
In aprile, un giovane di 19 anni si tolse la vita mentre faceva la doccia. Qualche giorno dopo ci fu un secondo episodio. Che clima si respira? «Purtroppo vi è un uso sconsiderato della carcerazione preventiva. Agli stranieri viene chiesto un numero di telefono per contattare la famiglia, ma loro non possono chiamare a casa finché non arriva il via libera dal consolato, che ha tempo un mese per questo passaggio (deve controllare che i numeri corrispondano). Spesso e volentieri il mese trascorre invano. Quel giovane nordafricano si sentiva da solo, voleva parlare con la madre e non poteva farlo. In carcere qualcuno è filibustiere, qualcuno è un semplice ladro di polli. C’è il duro che magari non ha paura di nulla e c’è il ragazzino o comunque la persona più debole, a ogni età. Le regole sono comprensibili, perché una chiamata in arabo all’estero va controllata rispetto a possibili risvolti terroristici, ma ci sono persone che non reggono a restare troppo tempo senza contatti con i familiari. Le regole hanno senso, il problema è sempre la loro applicazione».
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